La coalizione creata negli anni '90 da Berlusconi non è più replicabile. E le divisioni che esistono oggi tra le diverse anime della destra, soprattutto sul tema europeo, sono profonde. Difficile dire se prevarrà la Realpolitik o la distruzione causata dalla contesa per la leadership
Una volta, con santa pazienza, mi sono messo a contare quante copertine avesse dedicato “L’Espresso” a Sua Emittenza, ?al Cavaliere, al Caimano, insomma ?a Silvio Berlusconi e al suo ventennio ?di combattente indomito. Alla fine ne ho messe in fila cento tonde tonde - molte nate per mia diretta responsabilità, s’intende - e l’una accanto all’altra le ho anche esposte in mostra per i sessant’anni di questo settimanale battagliero quanto lui. Il bello ?è che di cento, una decina e forse più lo davano per perdente, bollito, finito, ko, all’ultimo atto, dietro un sipario che ?si chiude, e via fantasticando.
E invece eccomi chiamato ancora una volta a celebrarne la vitalità politica, la presenza sulla scena, il protagonismo. Stavolta, però, non è come le altre, mi sa che siamo alla svolta decisiva, per lui e per la destra ?che ha mirabilmente sdoganato, unito ?e rappresentato per tanti anni.
“L’Espresso”, in realtà,
aveva già colto l’ennesimo “Rieccolo” qualche settimana ?fa (devo aggiornare la conta delle copertine…), e la conferma l’hanno data ?le amministrative di domenica scorsa, ?nove milioni di italiani chiamati a scegliere fra i tre forni del gran mercato della politica. Sapete tutti com’è andata: Beppe Grillo ?che fa flop, è fuori dai ballottaggi, e pure schernito a Genova, in casa, e nella Parma di Pizzarotti l’espulso; il Pd di Matteo Renzi che brinda a una faticosa tenuta; ?e il centro-destra (con il trattino, secondo ?gli ultimi dettami dello stesso B.) che torna unito e conquista quasi tutti i ballottaggi: ?il Nostro è vivo e vegeto. Si ricomincia?
Ora, naturalmente, aspettiamo la settimana prossima, ma su alcuni dati di fatto si può già ragionare, cominciando a dare a Silvio ciò che è di Silvio. È l’unico, per esempio, a non aver pagato un prezzo per la dissennata trattativa sulla legge elettorale e per l’annuncio di ciò che ne sarebbe nato: ha preso al volo l’offerta di Renzi di lavorare insieme per riesumare il proporzionale e, così facendo, tornare al centro della scena e porre le basi di futuri governi di larghe intese per le quali sarebbe determinante; ha taciuto quando all’allegra combriccola riformatrice si sono uniti Grillo e Salvini e poi, andato a monte l’accordo, ha lasciato nei guai Pd e 5Stelle, preoccupati solo di scaricare l’uno sull’altro la responsabilità del flop. L’inciucio logora chi lo fa, ma ?non Berlusconi. Che però non può essere del tutto soddisfatto.
Se domenica 11 le cose sono andate bene per il centro-destra ciò si deve infatti a una ritrovata unità nella quale ha pesato più la Lega di Salvini che Forza Italia. Sembra poi che gli elettori grillini delusi non si siano riversati su Berlusconi & C. preferendo piuttosto restarsene a casa, e chissà se e dove torneranno. Il mercato si restringe, e qualcuno azzarda che i forni non debbano necessariamente essere tre. Bel paradosso, proprio quando, l’uno dopo l’altro, sono stati sepolti maggioritario, premio, ballottaggio, in nome di una legge proporzionale fatta apposta non per spingere alle alleanze, cioè per unire, ?ma per dividere: spesso sono i sistemi elettorali a determinare i processi politici, non ne sono il prodotto. Insomma, se si dovesse andare a votare con i monconi di legge ereditati dalla Consulta o si dovesse tornare a trattare ripartendo dal sistema proporzionale, ciò accentuerebbe le divisioni o, per chi ci riesce, le aggregazioni in un’unica lista, non certo le coalizioni.
Ma a Berlusconi va bene così. Pensa che ?il pericolo Grillo covi ancora sotto la cenere, che la competizione sia sempre a tre e il suo obiettivo prioritario è ridare un ruolo centrale a sé e a Forza Italia, perché se proprio si deve unire, federare, allearsi meglio farlo dopo e da posizioni di forza, e comunque alle sue condizioni, non a quelle di Salvini. Invece intorno a lui è tutto un gran fermento coalizzatore. Spinge per tornare tutti insieme appassionatamente Giovanni Toti, suo ex pupillo con sogni di personale grandeur, il più vicino alla Lega di Salvini ?e alla destra di Giorgia Meloni; si fa avanti Roberto Maroni, sognando addirittura l’originario schema vincente: l’alleanza ?con la Lega al Nord e con la destra al Sud, ma deve fare i conti con Matteo Salvini, non con Umberto Bossi. Ma questa in fondo ?è ancora tattica.
La sostanza, come sempre, è ben altra cosa. Quella coalizione che Berlusconi mise in piedi negli anni Novanta non c’è più; l’Opa lanciata da Salvini & Meloni non ha finora prodotto niente di alternativo, e in ballo non c’è solo una questione di leadership, che pure non è cosa da poco: lì, nella terra confusa del centro-destra, c’è chi guarda ad Angela Merkel e chi nonostante la sconfitta pensa ancora a Marine Le Pen, mentre non si vede all’orizzonte chi sia capace - specie adesso che Renzi guarda di nuovo dalle parti di Pisapia & C. - di imporre una svolta alla Macron, e soprattutto chi sia in grado ?di interpretarne il ruolo in salsa italiana.
La verità è che è molto difficile sanare divisioni culturalmente e politicamente assai profonde a petto delle quali lo sdoganamento di Gianfranco Fini, o le passeggiate con Bossi in canotta nei giardini di Arcore, vent’anni fa, sono quisquilie: in fondo, il tricolore di An era già sbiadito allora, e la secessione era buona solo per gli slogan e la rituale ampolla sul Po. Oggi la divisione è - niente di meno - sull’Europa, sulla moneta unica, travalica ?i nostri confini, tocca questioni politiche ?ed economiche internazionali, mette in discussione i valori fondanti di un intero Continente. Una scelta di campo. Che nessuno dei contendenti è oggi in grado di imporre. Prevarrà la realpolitik, sospinta dal profumo della vittoria, o è l’ora del big bang frutto della contesa per la leadership? Aspetterei prima di un’altra copertina…
Twitter @bmanfellotto