Tv, radio, teatro, film, canzoni. Ma anche giornali, P2 e politica. Tutto in 79 anni affrontati con uno slogan: non mollare mai
Il 28 agosto Maurizio Costanzo compirà 79 anni. È un’età bellissima: non ancora quota 80, che trascinerà con sé il trombonismo tipico delle cifre tonde, e però ben oltre la soglia dei 70 che ha inserito questo protagonista nell’empireo degli indimenticabili del piccolo schermo. Auguri, dunque. Con gratitudine, in un certo senso. Perché il suo genetliaco induce a ricordare, senza omissioni mnemoniche, chi davvero è stato l’eroe dei talk show nostrani.
Innanzitutto, Costanzo merita caldi applausi per la capacità di esprimersi in qualsivoglia campo della comunicazione. Non è da tutti, anzi quasi da nessuno. Ha partecipato, per dire, alla scrittura di canzoni bellissime (“Se telefonando” di Mina), ha contribuito alla stesura di sceneggiature di film importanti (a partire da quella di “Una giornata particolare di Ettore Scola”), non si è risparmiato sul fronte del teatro leggero (firmando con Marcello Marchesi la pièce “Cielo, mio marito!”), e senza inoltre dilungarsi sulle intense attività radiofoniche, saggistiche (il suo versante, per così dire, più fragile) è stato anche direttore di giornali (cito qui La domenica del corriere: del resto si parlerà dopo) e consulente di aziende e personaggi di massima visibilità (vedi Alfa Romeo e l’ex presidente della Camera Irene Pivetti).
Dopodiché va certificato che i talk di Costanzo sono stati al centro di una mutazione della grammatica televisiva nostrana che ha donato a lui e ai suoi ospiti un’aura di centralità impregnata di brillantezza e cinismo, demagogia e sensibilità, abilità rabdomantica nel lanciare nuovi talenti e capacità imbattibile di empatizzare in scena con potenti e potentissimi di Palazzo. Una maestria scientifica - altro che quella di Bruno Vespa, annusante l’odore di santità dalla mano di Silvio Berlusconi - che ha traslocato di trasmissione in trasmissione: partendo da “Bontà loro”, passando per “Acquario” e atterrando sull’apoteosi demagogica del “Maurizio Costanzo Show” e dell’attuale “L’intervista”. Un percorso che lo ha reso popolare, amato dal grande pubblico (ancor di più dopo l’attentato subito nel 1993 da Cosa Nostra, indispettita dal suo impegno antimafia) e potente.
Tanto potente. Anche perché la sua bulimia creativa, nel frattempo, aveva incrociato i grembiuli della Loggia P2, alla quale fu introdotto dal medico Fabrizio Trecca per la gioia di Licio Gelli, lieto di accogliere nella sua scuderia un fuoriclasse in grado sia di dirigere il pop-quotidiano “L’Occhio” sia di spiegare - anni dopo, dal palcoscenico del teatro Parioli - che il ministro della Sanità Ferruccio De Lorenzo (poi condannato per associazione a delinquere e corruzione) non avrebbe avuto «bisogno di rubare» perché «ricco di famiglia». Talento: sempre grande talento. Persino nel rinculare in tv dalle proprie marachelle, come fece spiegando a Giampaolo Pansa che l’adesione alla Loggia dei compassi era stata una mossa da «cretino». Quante storie, quante avventure. E quante dense contraddizioni. Sufficienti a ribadire, ancora una volta, gli auguri per l’incombente compleanno, ma anche a ricordare ai più tele-distratti il profilo di chi soffierà sulle candeline.