«Il giornalista è uno storico del presente» ho ritrovato questa frase di Umberto Eco nel libro di Giovanna Pancheri, “Il buio su Parigi”. Se la cronaca quotidiana ci restituisce l’orrore e il sangue degli attentati terroristici che hanno sconvolto l’Europa negli ultimi anni, questo libro gratta la superfice e va alla ricerca delle radici di una guerra i cui combattenti non sono folli mistici, ma criminali spietati.
Dell’attacco alla redazione di Charlie Hebdo, degli ostaggi al supermercato kosher, della bomba allo stadio, della strage al Bataclan conosciamo la conta dei morti, conosciamo la cronaca, raramente ascoltiamo le testimonianze di chi ha vissuto la tragedia. L’inverso di quello che accadeva nel passato. Dal testimone alla conoscenza dei fatti. Oggi invece non c’è tempo, non c’è più tempo, un titolo è sufficiente per avere contezza di ciò che è accaduto. L’assenza di riflessione determina l’incapacità reale, tangibile di comprendere ciò che accade. Dal 2015 a oggi è passato del tempo, ma non è venuta meno la necessità di mettere ordine. E in questo libro ordine lo mettono le testimonianze, quelle che la cronaca non può e non riesce a riportare. Gli eventi sono più importanti, come lo è dare aggiornamenti continui. Testimonianze e persone passano in secondo piano perché non c’è tempo di verificare le loro storie e la loro veridicità. E se davvero, come diceva Eco, il giornalista è uno storico del presente, allora ha anche il dovere di fermarsi e riflettere su ciò di cui è stato testimone. Ha il dovere di approfondire, verificare e condividere.
”Il buio su Parigi” parte dagli inconsapevoli presagi di Stephane Charbonnier (Charb) raccolte da Pancheri per skyTg24 nell’unica intervista italiana al direttore di “Charlie Hebdo”, ucciso nell’attacco del 7 gennaio 2015. E i racconti sono l’anima di tutto il libro. C’è l’ostaggio del supermercato kosher che descrive cosa ha provato mentre avverte la pressione del Kalashinikov di Amedy Coulibaly sulla schiena. Il manager abituato a gestire ansia e situazioni di tensione che racconta come si sia sentito invece impotente quel 13 novembre allo Stade de France e, infine, c’è il dolore pieno di coraggio di chi rimane, dei familiari dell’unica vittima italiana di quel 2015 a Parigi, Valeria Solesin, rimasta uccisa nella carneficina del Bataclan. Le testimonianze raccolte in questo libro mostrano come la piccola delinquenza, spesso dedita allo spaccio di stupefacenti e piegata dalla totale mancanza di opportunità e occasioni di riscatto, si sia trasformata in braccio armato del fondamentalismo islamico ed è palese come più del Corano a contare sia il denaro.
In questo testo da ascrivere ai migliori reportage prodotti in Italia si sente come un calco degli esempi di Luigi Barzini, Corrado Stajano, Virgilio Lilli, autori che (forse) sono nel dna di Giovanna Pancheri. In queste pagine non è più il volto, la voce che al Tg ha raccontato quelle ore ma si tramuta in un raccontatrice di storie che altrimenti rimarrebbero sconosciute. Con l’autorevolezza presa sul campo cerca di raccontare al lettore ciò che di quei giorni non si è detto. Sono in pochi, ad esempio, a sapere che Coulibaly aveva piazzato varie cariche esplosive nell’Hyper Cacher, una notizia non emersa nelle cronache mediatiche di quei giorni perché mai resa nota dalla polizia. Leggendo poi le pagine infernali del Carillon si capisce non solo che chi ha sparato era ben addestrato, ma che uno degli attentatori era mancino. Si può scrutare la redazione di Charlie Hebdo nei giorni immediatamente successivi al massacro di Rue Nicolas Appert e si possono analizzare gli effetti della paura, capire come si sia passati dall’unità di gennaio alla diffidenza e al terrore di novembre, un terrore che in parte ha vinto perché è riuscito a cambiare le abitudini, a minare il quotidiano. Di questi tasselli inediti abbiamo bisogno per leggere non una cronaca, ma la storia che ha marcato la Francia e con lei tutta l’Europa, una storia i cui capitoli si scrivono con il sangue versato tra le bancarelle del mercato di Natale di Berlino, sui marciapiedi di Nizza e di Londra, sugli spalti della Manchester Arena, dove bisognava colpire chi per definizione non poteva difendersi, chi si sentiva al sicuro e lontano da ogni minaccia possibile: i bambini. “Il buio su Parigi” riporta lo sguardo laddove tutto è iniziato prima che per distrazione tutto sia dimenticato.
Opinioni
7 agosto, 2017Articoli correlati
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