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Opinioni
settembre, 2017

Oddio, si vota e non so cosa mettermi

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Manager, lobbisti, alti burocrati. Tutti confusi e prudenti nel gioco del  chi-sta-con-chi della prossima legislatura

Mai stato così imprevedibile da un quarto di secolo a questa parte. Non è un puzzle risolvibile, un Ruzzle da chiudere, un algoritmo da calcolare. La faccenda è delicata. I lobbisti, poveri cari, ci stanno rimettendo la salute. Gli alti burocrati il sonno. I manager di stato e parastato il livello del reflusso, la malattia di moda, nessuno soffre più- che orrore- di acidità di stomaco solo i cafoni, di sicuro la famiglia Trump. Per il gran circo del Palazzo e addentellati, è tempo di tornare al lavoro ma da qui alle elezioni l’irrisolto interrogativo rimane.

È fine legislatura ma l’aria che tira da quale parte tira? Su quali cavalli politici puntare? Nei mesi a venire e dopo il voto chi si rivelerà un brocco, un ronzino o un animale da corsa e da ostacoli? Renzi o Berlusconi, Di Maio o Gentiloni, Minniti o Franceschini o tutti gli altri iscritti all’ippodromo della nuova legislatura?

La confusione è grande, la prudenza impera. Chi aveva mai visto un meeting di Rimini, kermesse di Comunione e Liberazione che apre tradizionalmente la season politica, così guardingo come quest’anno? Non che il tappeto rosso non fosse solcato di pezzi grossi, il premier Paolo Gentiloni, il ministro vedette Carlo Calenda, i ministri Giuliano Poletti e Andrea Orlando, la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli e non solo, un’imbarcata di potenti con la sensazione però di aver scelto l’ombrello istituzionale. L’ha detto in politichese (al Corriere della Sera) Giorgio Vittadini, leader storico Cl e geniale presidente della Fondazione per la Sussidiarietà «viva le larghe intese basate sui contenuti», viva tutti e quindi nessuno, stiamo quieti a scrutare l’andazzo, soprattutto dopo che l’anno scorso il meeting è stato un inno al Sì al referendum poi fallito.

Avesse almeno un nome, l’inquietudine che soffia nel Palazzo. Sarà restaurazione, conservazione, resurrezione. Forse solo manutenzione, ma questa volta insieme alla legislatura si chiude un’epoca, un’antropologia, una macumba più o meno maggioritaria, ai suoi albori andavano di moda le salopette, la permanente e c’era Friends alla tv.

In Rai si respira aria di tregenda, nonostante le antenne sul potere da stazione Nasa c’è esitazione, troppe variabili in gioco. Parla Vincenzo Morgante, bravo direttore Tgr e amico da sempre della famiglia Mattarella, il Quirinale è l’unica certezza, manca poco che lo applaudono. Ci si domanda, è meglio un colloquio con Roberto Fico grillino presidente della Commissione di Vigilanza Rai o un incontro con Antonello Giacomelli sottosegretario con delega alle Comunicazioni, uomo ponte tra Renzi e Gentiloni? Vale la pena di ritrovare l’antica intesa con Maurizio Gasparri?

Risquillano cellulari fino a pochi mesi fa silenti, quelli di Sestino Giacomoni e Valentino Valentini, le ombre di Berlusconi, erano a trillo continuo da Ferragosto in poi. A Punta Ala Gianni Letta non è riuscito a passeggiare, le persone lo fermavano neanche fosse Emma Stone. A Capalbio per Stefano Parisi era un’impresa uscire dal bar. A Cortina Matteo Salvini era omaggiato forse quanto un Arnaud de Puyfontaine big boss di Vivendi.

C’è incertezza sul linguaggio dopo che i galli hanno invaso le stanze dei bottoni, al macero le total immersion per l’inglese, è urgente masticare il cinese continentale e certamente il francese. Si notano strane giravolte anche nei segni identitari dei vestiti, un giorno il Palazzo si anima di camicie bianche da fantasmi senza cravatta come Renzi e Graziano Delrio, il giorno dopo riecco gli stessi personaggi impacchettati con camicie blu e completini da venditori di collant alla Luigi Di Maio. Molti i problemi di postura per i cambi d’altezza dei tacchi delle politiche: bassi come quelli della ministra Roberta Pinotti o alti con zeppetta alla Maria Elena Boschi? Fosse solo la cervicale il problema è la proporzionale.

La tortura dell’incertezza dovrebbe affievolirsi dopo il risultato delle elezioni in Sicilia, termometro degli umori politici del paese, sorta di Ohio nostrana dove ha stravinto Trump. Non rimane che incrociare le dita.

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