Uno in moto perpetuo, gli abiti volutamente disastrosi. L’altro statico, standard e robotico. Ma, in fondo, sono stili paralleli

La differenza plateale del modo di comunicare dei due si è vista al Villaggio Coldiretti a Roma, manifestazione assai ghiotta non solo per prosciutti, cacio di capra e crema di friarielli e tutto il ben di Dio esposto ma soprattutto per il bottino di voti che rappresenta, tre milioni almeno, lo sapeva bene la cara Democrazia Cristiana. Si sono fiondati a presenziare tra fumi di porchetta e liane di luganega i politici di punta, da Antonio Tajani a Nicola Zingaretti, ma i più attesi sono stati loro due Matteo Salvini e Luigi Di Maio.

I due vicepremier non hanno avuto la stessa accoglienza e si è visto bene come la comunicazione dell’uno metteva in evidenza quella dell’altro marcando le differenze che hanno probabilmente influito sulla rimonta di Salvini, almeno secondo i multisondaggi osannanti ma non sempre affidabili, come si è visto in tante occasioni con risultati imprevedibili e a dir poco strampalati.

Il Salvini rampante ha un’immagine comunicativa agit-prop oltre che pop. È raramente statico, salta da un’immagine all’altra, i media lo riprendono in perenne movimento, ha gesti aggressivi ed eccessivi, stringe più mani che può, scatta e accetta selfie, canta a squarciagola, una volta è fotografato con i figli al mare, un’altra mentre bacia la bella Elisa Isoardi mandando a rotoli trucco e parrucco.

L’abbigliamento è rigorosamente disastroso, cravatte mezze annodate, magliette che una compagna assennata farebbe sparire alla prima occasione. Fa di tutto per non sembrare il politico impalato, il modello è tra “l’italiano vero” alla Toto Cutugno (versione cassoeula) e il pop-hoolismo di Fedez. A Coldiretti ha spopolato anche tra i piccini ed è stato folgorato dagli asini del San Raffaele di Viterbo. Abbracciando il quadrupede un po’ diffidente, probabilmente un europeista, ha commentato «Si presta a facili ironie». Chissà il Salvini rampante a chi avrà pensato.

Il DI Maio dimezzato è sempre lo stesso. Nell’immaginario collettivo il capo politico dei 5S ha una rappresentazione standard, si fa vedere solo in occasioni politiche e sempre in giacca scura, camicia bianca, cravatta blu. Nella versione più dissoluta azzarda un senza cravatta. Forse si tratta di sagace messaggio rassicurante anche se da vicepremier del cambiamento e da leader di un Movimento come minimo il ritmo dovrebbe essere da zumba. Nei movimenti ha la vivacità di una lattuga, è poco naturale come se fosse stato tagliato a metà. Una parte è quella istituzionale l’altra, quella di un giovane di 32 anni, l’ha lasciata in qualche altro posto.

Alla Coldiretti ha avuto un’accoglienza più tiepida del leader leghista, forse perché al suo arrivo pioveva, ha assaggiato soprattutto prodotti campani («Fatemi salutare i miei compaesani, salutatemi Benevento») e anche gli applausi durante il suo discorso sul palco non hanno raggiunto Mach 2 .Le foto della sua vita personale si contano sulla punta delle dita, una o due fidanzate poi scomparse, mai una scampagnata, un bagno a mare, uno spaghetto alle vongole, ciò che fanno gli umani. Si vede che queste piacevolezze sono riservate all’altra metà del Di Maio dimezzato.

Il premier inesistente non è si è fatto vedere alla Coldiretti, aveva altro a cui pensare. Unico nel suo genere, il presidente del Consiglio è un fenomeno da studiare per il talento nel negare il suo esistente trasformandolo nell’inesistente. Anche viceversa. L’ultima imbarazzante vicenda raccontata da Giuliano Foschini (la Repubblica) è quella del concorso universitario sostenuto da Conte all’Università Vanvitelli di Caserta. Tra gli esaminatori c’era il famoso giurista Guido Alpa con il quale il premier, come sanno gli avvocati di rango di Roma, condivideva lo studio legale. Il presidente del Consiglio nega. Peccato che nel curriculum inviato a Montecitorio nel 2013 dichiari il contrario. E peccato che la cattedra che il premier stava per ereditare a fine ottobre alla Sapienza a Roma prima di venire stoppato per ragioni di opportunità, fosse proprio quella di Alpa. Quando si dice negare l’evidenza, anzi l’esistenza.