Nessuno Stato può vestirsi di panni aggressivi verso l’esterno conservandosi pienamente democratico al suo interno
Uno spettro s’aggira per l’Europa, scrivevano nel 1848 Marx ed Engels. A quel tempo il fantasma
si chiamava comunismo, adesso
è il sovranismo. Categoria politica in apparenza più precisa, più chiara da definire e da comprendere, rispetto al populismo cui viene spesso apparentata; ma chissà poi se è vero. Sappiamo che la parola deriva dal francese souverainisme, e infatti il Front National dei Le Pen (padre e figlia) è un po’ l’antesignano dei partiti sovranisti. Sappiamo che questi ultimi s’oppongono al trasferimento di poteri e competenze verso ogni istituzione sovranazionale, cavalcando la rivincita del vecchio Stato ottocentesco contro le malefatte della globalizzazione. Sappiamo che Brexit ne ha rappresentato, finora, il successo più vistoso. Infine sappiamo che la voglia di confini, la richiesta d’una diga contro i barbari invasori, riecheggia sull’una e l’altra sponda dell’Atlantico.
America First, tuona Donald Trump. Prima gli ungheresi, ruggisce a sua volta Victor Orbán. O gli austriaci, per il cancelliere Kurz. O gli olandesi, come diceva Wilders, fondatore del Partij voor de Vrijheid. O i tedeschi, secondo l’Alternative für Deutschland di Alice Weidel, che in Germania, l’anno scorso, ha sbancato alle elezioni. O gli sloveni, per l’ex Primo ministro Janez Jansa. E ovviamente, in Italia, prima gli italiani, ripetono in coro Salvini e Meloni, ma un po’ anche i 5 Stelle, e un po’ qualche formazione d’estrema sinistra, non soltanto alle nostre latitudini. Il protezionismo doganale viene infatti percepito come una misura in difesa degli strati più deboli
della popolazione, come un soccorso per i cassintegrati, mentre l’euroscetticismo s’alimenta anche dei sentimenti d’avversione verso le politiche liberiste dell’Unione europea.
Insomma, a quanto pare i sovranisti hanno una politica estera comune, non una politica interna, non la stessa concezione delle dinamiche sociali. S’incontrano sovranisti di destra e di sinistra, rossi o neri o gialloverdi. E semmai li accomuna una versione radicale del principio democratico, giacché quest’ultimo si nutre della relazione diretta fra cittadini e decisori, mentre le istituzioni sovranazionali sono remote, arcane, irresponsabili rispetto alle proprie scelte di governo. Errore, anzi doppio errore. Nessuno Stato può vestirsi di panni aggressivi verso l’esterno conservandosi pienamente democratico al suo interno. E il nazionalismo, l’autarchia, il respingimento dei migranti come fossero appestati, il presidio militare alle frontiere, incarnano per l’appunto una politica autoritaria. La storia, d’altronde, offre molte prove di quest’equazione. Per esempio l’Atene del V secolo, dopo la sconfitta nella guerra del Peloponneso: ne ricevette in sorte il governo dei Trenta tiranni, nonché l’eclissi delle antiche libertà.
E a proposito di libertà , di diritti individuali e collettivi. O sono di tutti o di nessuno, giacché la libertà di pochi non è più un diritto, è un privilegio. I diritti costituzionali hanno una vocazione universale; e infatti il loro manifesto consiste nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, firmata a Parigi nel 1948, lo stesso anno di nascita della Costituzione italiana. Non a caso la parola «tutti» si ripete per 21 volte nel testo licenziato dall’Assemblea costituente. Perché i diritti sono indivisibili. E sono tutti uguali, senza gerarchie né graduatorie al loro interno. Se li togli agli immigrati, ne stai rubando un pezzo pure ai cittadini. Altrimenti sarebbe come dire che è possibile confiscare le libertà dei calabresi, senza intaccare le libertà degli italiani.
È dunque questa l’anatomia del sovranismo: una stretta sui diritti, in nome della sicurezza interna, della difesa contro l’aggressore. Nei tempi di pericolo la Repubblica romana s’affidava a un dittatore; può succedere di nuovo, anche se adesso il pericolo è presunto, gonfiato ad arte per gonfiare le vele del consenso. E allora, gratta gratta, esce allo scoperto la natura illiberale dei partiti sovranisti. Il sovranismo è la voglia d’un sovrano.