Qualche giorno fa ho rivisto “Zodiac” di David Fincher e, nel provare un forte disagio, ho pensato che la tensione che attraversa tutto il film debba molto alla paralizzante consapevolezza che il giovane vignettista Robert Graysmith, che decide di indagare sull’identità del serial killer, si stia esponendo oltre ogni logica. Paralizzante perché Robert ci sembra solo, ossessionato, forse anche inconsapevole, ma soprattutto scoperto, senza armatura e senza munizioni.
Quello che accade a chi si occupa di cronaca locale è parimenti paralizzante e penso a Federica Angeli sin dalle sue primissime inchieste su Ostia, a Rosaria Capacchione e al suo lavoro sulle pagine del Mattino, a Lirio Abbate sin da quando era all’Ansa di Palermo, a Giovanni Tizian sin da quando si occupava delle infiltrazioni del clan dei Casalesi al Nord sulla Gazzetta di Modena e l’elenco è lunghissimo, fino ad arrivare alle minacce a Paolo Borrometi direttore de LaSpia.it.
Da quel «Ti vengo a cercare a casa e ti massacro» alle ultime, quelle che però, secondo alcuni, andrebbero interpretate, perché se il boss di Cosa Nostra Salvatore Giuliano dice a Giuseppe Vizzini, altro esponente di spicco della mafia, parlando di Borrometi: «Fallo ammazzare, ma che c.... ci interessa», ogni siciliano capirà che non si tratta di una minaccia, ma della volontà della mafia di disinteressarsi di Borrometi. Inquietante è il dialogo intercettato e inquietante è l’interpretazione che viene suggerita perché la minaccia è evidente.
Paolo Borrometi, come molti, come troppi giornalisti italiani vive sotto scorta perché ha deciso, come tutti gli altri giornalisti sotto scorta, di occuparsi di notizie locali. Notizia locale non significa notizia secondaria, notizia accessoria, notizia che in fondo potrebbe essere anche non data. Tutt’altro. Le notizie locali sono i mattoni su cui si costruisce il racconto del Paese.
Sono anni che invito i maggiori quotidiani nazionali a trasferire le loro redazioni centrali nei luoghi “caldi” del nostro Paese. A San Luca, Casal di Principe, Foggia, Siracusa, Cirò Marina, San Felice a Cancello, ma anche a Lavagna, Brescello, Bardonecchia. Nei luoghi in cui il Paese è più Paese che altrove, ma te ne accorgi solo se ci vivi, se ci lavori. Sono quelli i luoghi in cui si vincono e si perdono le elezioni; in quei luoghi le organizzazioni criminali fanno talmente parte del tessuto socioeconomico da mimetizzarsi con tutto il resto, con le imprese legali e con la gente per bene.
E come Robert Graysmith è solo contro Zodiac, così spesso i cronisti locali sono soli di fronte alle organizzazioni criminali. Ricevono la solidarietà di politica e società civile quando ci sono eventi eclatanti, ma poi restano soli a scrivere, ossessionati dal racconto di ciò che accade attorno a loro e consapevoli che di quei morti e quegli affari interesserà qualcosa solo se ci saranno nuove minacce, solo quando non sarà possibile ignorare.
Yuval Noah Harari nel suo libro “Sapiens” suggerisce che il linguaggio umano si sia sviluppato non solo per comunicare notizie sul mondo, ma soprattutto per comunicare notizie sull’uomo. A queste notizie diamo il nome volgare di pettegolezzo, ma in realtà sono esattamente le informazioni che a piccole comunità servono per continuare a esistere. Notizie che consentono, banalmente, di sapere di chi ci si possa fidare e di chi no. Tutto quindi parte dal locale, dalla descrizione di ciò che accade a Ostia, a Siracusa, a Casal di Principe, a Modena, a Palermo. E in quelle piccole comunità si è maggiormente esposti, perché tutti conoscono tutti e ciascuno sa cosa l’altro dica o scriva.
Ecco perché a certi poteri fa molta più paura un giovane giornalista che si occupa di cronaca locale che una firma di primo piano che si occupa di politica nazionale.
Quando a Napoli fu ucciso Giancarlo Siani, molti si stupirono per quell’omicidio. Come è possibile che sia stato ucciso un giovane giornalista sconosciuto che si occupa di cronaca locale? Si domandavano, e spesso nemmeno in cattiva fede. La verità, ieri come oggi, è che i giornalisti che si occupano di cronaca locale, scavando nella carne del reale, portano alla luce ferite che a occhio nudo - quindi a distanza - non sono visibili. Sono ossessionati da ciò che vedono ed esposti dal racconto. Non hanno armature ma hanno munizioni, le loro parole. E per chiunque voglia capire il tempo in cui vive, quelle parole sono strumento imprescindibile.
Camorra10.11.2011
Quel processo, la mia speranza