Ci avevano provato Berlusconi e Renzi, bocciati dai referendum. Ora il nuovo governo dovrò aggiustare i dettagli di contorno dopo il taglio dei parlamentari. Ma in Aula le proposte di riforma depositate sono 173

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Hanno cominciato giocando con i numeri; finiranno, prima o poi, per dare i numeri. È la sindrome del riformatore, che ha già dannato Berlusconi e Renzi. L’ambizione di scrivere daccapo tutte le regole del gioco, di meritare un posto fra i padri della patria, consegnando ai posteri una Costituzione tutta nuova. Il primo ci provò nel 2005, inoculando 55 articoli nel vecchio corpo della nostra Carta. Il secondo ci riprovò nel 2016, con un’iniezione di 47 articoli. Poi l’uno e l’altro affogarono sotto una marea di “no”, espressi dagli italiani nei successivi referendum.

Ora la nuova maggioranza sta per ricadere nella stessa tentazione. Senza dirlo, anzi facendo mostra del contrario. Senza un progetto napoleonico, piuttosto con una pioggerella di piccoli interventi, di microriforme che parrebbero slegate l’una dall’altra, una virgola di qua, un comma di là. Ma è la somma che fa il totale, diceva il buon Totò. Se scrivo una legge costituzionale di 30 articoli, o se ne scrivo 30 d’un articolo ciascuno, avrò raggiunto lo stesso risultato. Probabilmente pessimo, come insegna l’esperienza.

Questione di numeri, di cifre. Come nell’unica riforma fin qui timbrata dalle Camere nella XVIII legislatura: il taglio dei parlamentari. Da 945 a 600, 345 in meno. Ma è un numero anche l’età per deporre una scheda nell’urna elettorale: 18 anni alla Camera, 25 al Senato. Enrico Letta ha proposto d’estendere il diritto di voto ai sedicenni, Beppe Grillo vorrebbe privarne gli ottantenni. Nel dubbio, s’avanza una legge di revisione costituzionale per consentire il voto in Senato ai diciottenni: nel luglio scorso prima approvazione a Montecitorio (tutti d’accordo, con appena 5 contrari e 7 astenuti), da ottobre se ne occupa palazzo Madama. E perché non abbassare pure l’età per diventare senatori? Adesso servono 40 anni suonati, potrebbero bastarne 25. D’accordo anche su questo numero, e infatti la riforma sta per decollare dai banchi del Senato: tombola!

Ma il gioco, in realtà, non è affatto concluso. Perché il taglio dei parlamentari si tira dietro altre riforme “di cornice”, già concordate dalla maggioranza giallorossa durante il battesimo del governo Conte 2. In primo luogo una modifica all’articolo 83 della Costituzione, abbassando da 3 a 2 i delegati regionali che concorrono ad eleggere il capo dello Stato; altrimenti le Regioni peserebbero troppo, con un terzo di parlamentari in meno rispetto al passato. In secondo luogo, una modifica all’articolo 57, rendendo pluriregionale - anziché regionale - la base elettiva del Senato. Anche in questo caso, lo scopo è di evitare distorsioni, giacché nelle Regioni più piccole le minoranze non riuscirebbero a esprimere alcun senatore.

Dopo di che s’aggiungono le riforme più formose. Il referendum propositivo, per esempio: già licenziato in prima battuta dalla Camera a febbraio, è una bandiera del Movimento 5 Stelle. O la sfiducia costruttiva, cara al Partito democratico; se ne discuterà a dicembre. Senza dire della giustizia, dove bolle in pentola l’idea di separare le carriere di giudici e pm, nonché di sorteggiare i membri del Csm: altre due revisioni costituzionali, e non di poco conto. Come la riforma della riforma del Titolo V (che elenca le competenze regionali), annunciata dai 5 Stelle a settembre, durante la convention di Napoli. O come l’idea d’includere l’ambiente nella Costituzione, avanzata da Conte a New York, in settembre. Anche se la nostra Carta cita già l’ambiente, nell’articolo 117 e nell’articolo 9. Sarebbe meglio leggerla, prima di smontarla come un Lego.

Insomma, c’è il rischio di fare indigestione. Va bene che l’appetito vien mangiando, ma in questo caso converrebbe mettersi un po’ a dieta. A contare i progetti di revisione costituzionale fin qui depositati in Parlamento, s’arriva a un numero a tre cifre: 173. Fra questi, s’incontrano interventi poderosi, dal presidenzialismo al superamento del bicameralismo paritario. Ma anche proposte più naïf, come il riconoscimento delle radici giudaico-cristiane o una specifica garanzia costituzionale per gli avvocati. E queste eccentriche proposte vengono, in molti casi, dai parlamentari della nuova maggioranza. Si è aperto, dunque, il vaso di Pandora. E a difenderci non basterà un ombrello.