Ho scritto di Ani Laurent, l'adolescente trovato morto a Parigi nel carrello di atterraggio dell’aereo proveniente da Abidjan e il racconto, crudo, terribile di ciò che è accaduto a qualcuno non è piaciuto. E chi si è indignato non l’ha fatto per il dramma, ma per il racconto del dramma.
Qualche settimana prima apro la casella di posta elettronica e trovo uno screenshot raccapricciante, me lo manda una amica. È la homepage di un noto sito softporno di pseudoinformazione, lo stesso che si indigna e strepita per il mio articolo sul quattordicenne morto nel tentativo di raggiungere l’Europa. Ebbene, quel sito dà una notizia come peggio non potrebbe. Il fatto di cronaca è questo: nella provincia di Firenze, un uomo droga con sonniferi sua cognata, la sequestra e per un mese la tiene rinchiusa in un pollaio dove la lega a una branda, la picchia e la violenta.
Il sito softporno di pseudoinformazione dà la notizia più o meno in questo modo, vado a memoria: «Un porcello nel pollaio». E poi c’è una foto: polli rinchiusi in un recinto e, in primo piano, una pornostar di spalle nuda e legata.
Un crimine - naturalmente ci sarà un processo, ma non mi sembra che si possa a cuor leggero definirla una bravata - raccontato come una goliardata: il presunto stupratore diventa un “porcello” e la donna abusata una attrice porno. Inorridisco al pensiero di chi possa essere il destinatario di un tale giornalismo e al pensiero che possa esserci assuefazione a questo modo di raccontare non solo fatti di cronaca, ma anche ciò che accade in politica. Tutto diventa gossip, anche un crimine, e tutto diventa retroscena costruito spesso da giornalisti falliti, che non sono riusciti a realizzarsi nell’accademia, nell’editoria, né tantomeno nel giornalismo autorevole, ma che oggi stanno avendo il loro termidoro, o almeno così credono.
Mi si risponderà che questo modo di fare giornalismo è sempre esistito, ma la cianfrusaglia diffamatoria di un tempo non aveva altra diffusione che i lettori che andavano a cercala in edicola. Penso a tutto il bassissimo gossip che “lo Specchio” vomitava su Pasolini; non oso immaginare quanto peggiore sarebbe stata la vita di Pasolini se tutta la bile che gli veniva gettata addosso avesse trovato una eco sul web. Molto probabilmente sarebbe arrivata, prima del suo lavoro, la diffamazione e avrebbe convinto molti a tenersi lontani dalla sua produzione letteraria e artistica.
Quando si descrive l’ingiustizia di una morte precoce, avvenuta per inseguire un sogno, la risposta di alcuni è: perché ce lo racconti? Per farci sentire in colpa? Si insinua che in realtà si tratta solo di un’operazione tattica perché tanto il racconto dell’ingiustizia non muta la realtà che viviamo, ma porta solo consenso a chi scrive. E quale vantaggio si ottiene a raccontare una storia dolorosa? Al contrario, interrogatevi su quali siano le conseguenze di chi non legge le tue parole, ma ti dice che non dovresti scriverle; interroghiamoci sull’obiettivo che chi deride il racconto vuole ottenere: disarmare il coraggio e permettere a tutti di sentirsi comodi nell’odio, legittimando l’ignoranza che spesso non è mancanza di studio, ma di conoscenza. Se non so, sto meglio, ergo tu non devi raccontare, tu devi tacere.
Le parole perdono centralità; l’imperativo è denigrare chi scrive e racconta, perché si decida a priori di non leggere e non ascoltare. Colpire l’autore senza interrogarsi sul testo, non farne mai una analisi puntuale, ma basarsi lombrosianamente su quanto un volto possa suscitare antipatie o simpatie, attribuire vizi o virtù a seconda delle necessità. Siamo caduti nel tranello delle bestie del giornalismo da gossip e retroscena, che vogliono abbassare tutto a trama, a imbroglio, a vizio, a impostura, impedendo che possa esistere una differenza. Ed ecco la loro vittoria: far pensare che non ci sia alcuna differenza e tutti, anche i loro “amici”, sono trattati come carne da frollare, a cui spaccare le ossa perché nessuno possa rimanere in piedi. Ma se vuoi puoi sottrarti al tritacarne. Come? Paga e non verrai attaccato, paga e non entri nel mirino. Compra pubblicità sulle nostre pagine e staremo tutti a cuccia. E chi non paga? Verrà massacrato non una volta, non due volte, ma all’infinito. E allora il massacro perenne diventa garanzia. Nessuna paura, come scrisse Blaga Dimitrova: «Calpestata, l’erba diventa un sentiero».