Siamo delusi, sfiduciati, rinunciatari. Invece di lavorare per un miglioramento ci rifugiamo nell’invettiva. Che rimane solo uno sfogo
Cosa significa doversi allenare ogni giorno, da quando si nasce a quando si muore, a scegliere il meno peggio? Significa abituarsi ad anestetizzare ogni forma di protesta, ogni giustificata rivendicazione. E questo accade perché scegliere il meno peggio, quello che in genere definiamo “il male minore”, ci pone in uno stato psicologico di attesa… Attesa che le cose vadano meglio, che per inerzia prendano il giusto corso, attesa che il meno peggio faccia almeno quel poco per cui abbiamo deciso di accordargli un briciolo della nostra fiducia. Che pure non varrebbe poco, la nostra fiducia intendo, posto che la si riesca a trovare, a rintracciare, a scovare in quella piega nascosta del nostro corpo dove si è rintanata per non essere disturbata. O forse per non essere maltrattata, abusata, per non essere tradita, dileggiata come si fa con un adolescente ingenuo tra adulti smaliziati.
Senza essere o apparire antitaliani, senza volersi per forza augurare di dover toccare il fondo per poi risalire, forse dovremmo abituarci a chiedere e a pretendere, perché se non lo facciamo qualcuno potrebbe malignamente pensare che non pretendiamo e non chiediamo perché riteniamo di non meritarlo, perché al fondo ci sentiamo degli impostori, specchio di chi ci rappresenta. O perché se chiedo e pretendo poi devo dare in cambio impegno. Eppure noi ci impegniamo, non ci risparmiamo, cos’è che ci impone di frenare le nostre pretese, allora? Sicuramente i mille impegni quotidiani, il lavoro, le ore di traffico, la spesa e ora ci si mette anche l’incertezza non di ciò che avverrà tra un anno o due, ma proprio domani e dopodomani. Sì ma non è tutto. Non possiamo essere presi da ciò che accade qui e ora al punto da non riuscire ad avere un’idea di futuro. Credo che il blocco nasca più dalla pericolosa convinzione che nulla più valga la pena, che da soli non riusciremo a fare nulla; che se non riusciamo a spiegarci in una chat di whatsapp come pretendiamo di poterlo fare nella vita vera? Vedi, stai ammettendo però che quando perdi lo fai in un luogo che non esiste e che quindi quella che ti ha tolto la spinta non è una vera sconfitta, perché quella non era una vera lotta.
Aspetta però, fermati. Non ti sto dicendo di dover decidere ora in che modo vorrai rendere concreta la tua protesta. Non ti sto dicendo che hai perso troppo tempo, che devi muoverti. Ci potrebbe volere una vita intera per capire cosa vuoi pretendere e per cosa vuoi lottare. Perché è importante questo: non pretendere senza direzione, non pretendere ciò che non sai e non farlo per rivalsa. Quando sei da solo non dirti: siccome mi faccio il culo, tutto deve funzionare. Non dirlo perché sa di vendetta, e non hai nessun motivo per vendicarti, ma pretendi una logica diversa, una logica che ti pone, ipotizzando di stare fermi alla casella zero, in un’ottica di miglioramento. Seguimi: vendetta significa aver subito un torto, e se hai subito un torto sei molto lontano dalla casella zero perché, per arrivarci, ne hai tante da recuperare.
Ecco cosa voglio dirti: non puoi ripiegare sul meno peggio, perché il tuo obiettivo non è misero, ma il raggiungimento della felicità, felicità in senso amplissimo. E il compromesso? Quando significa mediazione va bene perché è crescita; in politica significa trovare un accordo per poter governare e mettere insieme opinioni e interessi diversi, talvolta in contrasto. Ma mediare è un conto; ogni volta dirsi “cos’altro potevo fare?” è trovarsi con le spalle al muro. E chi si trova o si sente con le spalle al muro non ha scelta, non è libero.
Ok, ma concretamente come protesto? Se fosse davvero bastato un vaffanculo per cambiare le cose, siccome ne abbiamo detti tutti tantissimi, chi con maggiore chi con minore convinzione, ora vivremmo una realtà capovolta rispetto ai tempi in cui il vaffanculo ha fatto capolino sulla scena politica.
Invece proprio nel vaffanculo - inteso come sfogatoio - si è esaurita tutta la spinta innovatrice. Da sfogatoio a sfiatatoio: togli il tappo del vaffa e tutto si smonta come quegli omini ad aria che trovi davanti ai centri commerciali: ondeggiano tutto il giorno per cadere sfiniti appena stacchi la spina.
Il vaffanculo ha bloccato ogni costruzione e non perché sia il turpiloquio che tanto detestano i fautori della gentilezza in politica, ma perché l’azione del vaffa ha momentaneamente appagato, è diventato il fine non essendo mai stato neppure il mezzo, semmai una flebile miccia.