Chiudere i luoghi della cultura è condannarli a morte. Ma nessuno ha chiarito i criteri in base ai quali un servizio sia essenziale oppure no
La prima città ad esser scesa in piazza contro l’ipotesi di nuove misure restrittive per arginare la pandemia è stata Napoli. Come avevo detto a caldo, non si sarebbe trattato di un episodio isolato, ma ben presto anche altrove sarebbero iniziate proteste.
Facile previsione, ma parliamoci con onestà, che sia accaduto prima a Napoli e che ci siano stati episodi di violenza, ha dato il via a una serie di analisi che hanno volutamente glissato sulla gravità della situazione per concentrare l’attenzione sui camorristi e sui fascisti che hanno messo la piazza a ferro e fuoco. La loro presenza è fuor di dubbio; i primi sempre pronti a mostrarsi dalla parte dei deboli, salvo poi fare affari sulla disperazione, i secondi sempre attivissimi sui social e molto probabilmente solo lì. E se non è mai possibile giustificare la violenza, è invece nostro dovere rintracciarne le cause evitando, se possibile, analisi banali. Le dichiarazioni di Vincenzo De Luca sono state la miccia e hanno fatto danni incalcolabili dimostrando quanto sia pericoloso parlare senza considerare gli effetti che le parole arrivano a produrre. Il discorso in cui Vincenzo De Luca annunciava ai campani un nuovo lockdown imminente ha generato panico e disperazione non tra i camorristi, che invece dal lockdown hanno tutto da guadagnare, ma tra le persone per bene che da un momento all’altro si sono viste negare non certo la possibilità di accesso alle piazze di spaccio dopo le 23 o l’aperitivo serale, ma la possibilità di lavorare e quindi di poter vivere dignitosamente.
La disperazione a Napoli (come altrove) è reale, non è sceneggiata; il senso di abbandono che si prova quotidianamente è ora esacerbato dalla paura e dall’incertezza di non sapere cosa stia esattamente accadendo, quali decisioni verranno prese e perché.
Ecco, quello che spesso sfugge sono i tanti perché che non vengono spiegati se non usando il bastone; sul presupposto che noi cittadini non saremmo in grado di comprendere, viene tutto comminato come fosse una giusta punizione da accettare in ragione di colpe che senz’altro ci appartengono.
Eppure riusciamo a scorgere la differenza enorme che passa tra chi scende in piazza senza mascherina per dire che il virus non esiste e chi scende in piazza per affermare che, come il virus, uccide la crisi.
Ho seguito con orrore il dibattito sulla chiusura di cinema e teatri, misura contenuta nell’ultimo Dpcm firmato dal Presidente del Consiglio. E devo dire che non è chiaro quali siano i criteri secondo cui un servizio venga considerato essenziale o inessenziale. Cinema e teatri per il governo sono attività inessenziali, sono essenziali altre attività come per esempio i luoghi di culto e i centri commerciali. Dietro questa distinzione tutti scorgiamo una ratio, ovviamente, ma è aberrante: pregate il vostro Dio, spendete i vostri soldi, ma la cultura è superflua.
È chiaro che non è possibile decidere arbitrariamente cosa sia essenziale e cosa inessenziale perché, nel farlo, si compie non solo un atto profondamente autoritario e antidemocratico, ma si decide a tavolino quali attività e ambiti possano sopravvivere e quali morire.
Si è deciso di condannare a morte cinema, teatri, compagnie teatrali, progetti culturali, tutto ciò che aiuterebbe ad affrontare questo momento difficile con maggiore consapevolezza, a fronte di un pericolo di contagio che non è oggettivamente né superiore né inferiore rispetto ad altri ambiti.
Oppure no, oppure è addirittura inferiore, considerando che teatri e cinema non vengono presi d’assalto la domenica come i centri commerciali...
Eppure, a Dario Franceschini, ministro per i Beni Culturali, il giorno successivo alla firma del Dpcm sono stati offerti pulpiti da cui è riuscito a dire ciò che un politico non dovrebbe mai dire, e cioè che chi si lamenta non ha capito la gravità della situazione legata ai contagi. Ed eccola la frattura che spesso abbiamo provato a indicare ma che non sempre si manifesta in maniera tanto evidente: quando la politica afferma che le persone non capiscono, la politica ha fallito.