Alle bugie del populismo da social si oppone un senso di superiorità, un celeste distacco. E manca, invece, un nucleo politico, motivato e forte
Mettiamola così, il capovolgimento è avvenuto e ci siamo ritrovati in una realtà distopica, come spesso accade, senza nemmeno rendercene conto. Non siamo ne “I racconti dell’ancella”, le donne fertili non indossano abiti scarlatti e non sono obbligate da una setta religiosa ultracattolica a partorire figli per conto terzi. No, ovvio che no. Ma ciò che trovo più inquietante nella serie tv non è il dramma ormai consumato: sono i flashback, quei momenti della vita precedente, della vita normale in cui, ciascuno preso dalla propria quotidianità ha ceduto parti consistenti di libertà senza darci troppo peso e, di nuovo, senza rendersene conto.
E cedere parti di libertà non significa certo indossare una mascherina, ma smettere di fare domande alla politica, smettere di pretendere risposte e accontentarsi di spiegazioni che somigliano più a giustificazioni. E soprattutto restare senza parole, senza risposta e senza strumenti per opporsi a chi racconta una realtà che non esiste. Un passato che non esiste. Di fronte a chi riscrive il passato come se noi non fossimo stati presenti.
Quello che negli ultimi anni è mancato - ed è mancato dolorosamente - è un nucleo politico motivato, sincero e forte che contrastasse, come metodo, le menzogne che il populismo da social diffondeva. Da un lato urla scomposte, dall’altro celeste distacco. La gentilezza, amiche e amici cari, non è rivoluzionaria. La gentilezza, amiche e amici cari, è il vostro alibi.
Ci si sentiva e ci si sente consustanzialmente superiori, tanto da ritenere il contrasto alle politiche sovraniste e populiste un regalo. Quante volte mi è stato detto: se parli di Salvini gli fai un favore. Ma a me non sembrava affatto di stargli facendo un favore, anzi. Non mi sembravano un favore le inchieste sui migranti di Avvenire, quelle del Manifesto, i racconti di Diego Bianchi a Propaganda Live. Avevano lo scopo, come diceva Marco Pannella, non di vincere, ma di con-vincere. E convinci se ci sei, se spieghi, se ti opponi, se ti incazzi, se ti indigni. Il favore a Salvini - al ministro degli Interni, non al triste comiziante - lo fai se non ne parli: l’unica “verità” che resta è la sua e chi la pensa o la penserebbe diversamente non trova nulla che possa confortarlo, che possa dare spiegazioni, che possa dire: eccomi, io sono l’alternativa. E l’alternativa diventa il meno peggio o, come dicono oggi, chi fa da argine a Salvini e Meloni. Accontentarsi di fare da argine, punto. E la distopia consiste nell’ascoltare un racconto delle cose che furono totalmente in contrasto con le cose che furono.
Pannella non l’ho citato a caso. Oggi c’è chi addirittura lo accusa di essere stato l’antipolitico maximo pur sapendo che non lo è stato mai, soprattutto nell’accezione che all’antipolitica diamo oggi, ovvero disprezzo per la politica, superficialità, rifiuto apparente per ogni compromesso per meglio farne nel chiuso del palazzo. Oggi c’è chi ritiene i Radicali corresponsabili dell’omicidio di Colleferro per avere da sempre preteso un dibattito serio, che non c’è stato mai, sulla legalizzazione delle droghe. E c’è anche chi accusa me per aver raccontato con i miei libri e con le serie tv le dinamiche criminali.
Come sempre responsabile è chi prova a cambiare le cose, chi le racconta, mai chi tace, mai chi non prende posizione, mai chi specula finanche sulla morte.
Chi ritengo abbia dato la spiegazione più lucida sui fatti di Colleferro - come fa su molte altre questioni di cruciale importanza - è Emanuele Macaluso con un bel post su Facebook. Macaluso chiede: «Qual è la vita sociale in tanti Comuni, e non solo nel Mezzogiorno? I partiti, come centri di aggregazione politica e culturale, non ci sono più. Anche la Chiesa non svolge nessuna attività sociale. Si avverte una netta regressione, non solo sociale ma anche civile. Il Pd non si pone questi problemi. La vita politica si svolge nell’incontro-scontro dei vertici, senza il concorso politico e umano di masse popolari».
Mentre assistevamo a rigurgiti antifascisti di una violenza estrema, mentre si stigmatizzava lombrosianamente il muscolo e il tatuaggio, mentre si accusavano Radicali e Gomorra, si falliva nell’individuare il nucleo. «E sbaglia chi su questi gravi fatti, che sembrano di cronaca, non apre una riflessione politica», conclude Macaluso. Sbaglia, sì. Ma una riflessione politica presuppone che a qualcuno interessi qualcosa. Qualcosa di Willy Monteiro Duarte, del dolore e della lacerazione che ha provocato la sua morte. E magari anche dei suoi assassini.