Il giorno dopo la batosta elettorale della destra, i talk show spazzatura sono andati avanti come se nulla fosse alimentando la loro narrazione. Ma neppure chi li guarda è andato a votare

Faceva effetto, la sera post-ballottaggi, guardare Rete 4. La sera in cui si celebrava il (momentaneo) tonfo dell’estrema Destra (ex) catodica, di quell’agglomerato televisivo fatto di livore e lavorio ai fianchi del popolino, sorta di crasi in movimento della foia complottista così bene rappresentata dai quotidiani sovranisti, quelli sospesi tra palco e realtà. Faceva effetto perché nulla era cambiato.

Il solito conduttore che al mattino su Facebook sproloquia come un Montesano più parolacciaro, i soliti opinionisti a senso unico, la solita rappresentanza minoritaria di chi pure aveva vinto le elezioni, presente in studio a mo’ di ostaggio. Spero remunerato. Faceva effetto perché su quella linea da minoranza rumorosa si erano appena schiantati Salvini, la Meloni, i loro social media manager così impegnati a indirizzare l’odio verso qualcuno, da dimenticarsi che poi però serve il consenso. Che se presenti candidati incapaci di allacciarsi le scarpe, o capaci solo dando la colpa alla Trojka qualora non ci riescano, la gente magari non vota i «comunisti dei poteri forti». Questo no. Ma sta a casa. E se sta a casa, perdi. E se perdi, poi ti tocca, come Meloni, rinculare paurosamente sulla strada già tracciata del voto anticipato.

E a poco servono i microfoni furbeschi sventolati davanti all’ennesimo disturbato contro il green pass, le balle spaziali dei Giordano di turno sul certificato medesimo, i vox populi orientati, i titoletti furbeschi, la fabbrica del dissenso incapace, ma guarda un po’, di costruire il consenso. Cioè i voti. Che poi, certo, alle politiche sarà diverso.

L’italiano medio, lo spettatore di Rete 4, ma non solo, si è ormai abituato, complici dieci anni di governi che nulla c’entrano con la volontà popolare, ammesso esista, a votare come un tempo si faceva alle Europee. Preferenze di testimonianza, per dirla bene. Una croce alla cazzo, da ultrà, se la si vuole dir tutta. Ché se devi scegliere chi ti tapperà le strade, il mitomane proveniente dall’antica Roma lo lasci a casa. Se invece le sorti sono quelle del Paese, dello Stato, dell’entità indefinita che (quale scempio) ti chiede le tasse e di cui vuoi lamentarti al bar, o sui social, che è poi la stessa cosa, allora puoi permetterti di scegliere la squadra del cuore. Devi. Che sia mussoliniana, poco importa. Anzi: la voti proprio per quello, per rifocillare il tuo antagonismo sul nulla con un gesto dadaista.

Motivabile, ragionevole, quasi auspicabile, se a compierlo è la parte del Paese che dalla politica nulla riceve, dalla quale è dimenticata e derisa, buona solo sotto elezioni e mai più, povera per davvero. Insopportabile, vergognosa, fonte del guano in cui controvoglia guazziamo, se viene da chi rivendica il diritto a fare l’accidenti che predilige come sempre. E ha deciso che sia lo Stato, quindi i poveri veri, a saldare la differenza tra le sue aspettative di Miracolo economico e un presente fatto di sacrifici per tutti. Persino per lui. L’anarcoide egoriferito che gonfia quei giornali, quelle tv, quei social. La novità, a ‘sto giro, è che ha perso perfino lui. Che sia accaduto insieme a Meloni e Salvini è definitivamente irrilevante.

GIUDIZIO: IRRILEVANTE

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