Il dibattito è monopolizzato dall’elezione del presidente della Repubblica. Ed è anche questa una strategia di disorientamento di massa che permette ai partiti di sopravvivere nella loro bolla

«L’intera storia del breve Reich Millenario può essere riletta come guerra contro la memoria, falsificazione orwelliana della memoria, falsificazione della realtà, negazione della realtà, fino alla fuga definitiva dalla realtà medesima», dice Primo Levi in “I sommersi e i salvati”.

 

Le recenti dichiarazioni della gran parte degli esponenti di primo rango delle forze politiche, che costituiscono la maggioranza parlamentare e che compongono l’attuale governo, sembrano un tentativo di sospendere la realtà visto che non affrontano le autentiche preoccupazioni, le reali necessità e i veri sogni delle persone che vivono il Paese reale.

 

L’attuale e monopolizzante discussione circa l’elezione del prossimo presidente della Repubblica è l’emblema di questa sospensione della realtà. Inoltre, questa discussione sembra offrire ai partiti politici una formidabile piattaforma dove scontrarsi (con inaudita ferocia e con l’obbiettivo di annientare politicamente il proprio avversario, che viene percepito come nemico) anziché essere un momento autorevole in cui si affronta l’interesse del Paese, con il dovuto senso di responsabilità e nel solco dei valori tracciati dalla Carta costituzionale. Considerato che «nello scegliere il capo dello Stato non dovremmo pensare a chi ci può meglio governare dal Colle, ma a chi può assicurare il rigoroso rispetto delle regole del gioco, chiunque sia il presidente del Consiglio dei ministri», come afferma il costituzionalista Gaetano Azzariti a La Repubblica.

 

Purtroppo, il dibattito pubblico sembra essere saturato da questa autoreferenziale discussione mentre le sofferenze del Paese reale - come ad esempio la persistenza di vecchi e l’emergere di nuovi squilibri sociali che attanagliano le persone e che dovrebbero essere oggetto di un’attenta analisi - non riescono a trovarci ospitalità. Questa disuguaglianza comunicativa è anch’essa una forma di arma di disorientamento di massa che si consuma tra retorica politica e giochi di palazzo.

 

Tuttavia, se si distoglie lo sguardo da questo riduttivo dibattito politico del Palazzo e si guarda il Paese reale saltano agli occhi le disuguaglianze croniche che vivono famiglie, giovani, lavoratrici e lavoratori, precari e disoccupati. È davvero ingeneroso che una politica distratta dalla propria sopravvivenza e accecata dall’insana brama per il potere riesca ad oscurare e a sospendere questo mondo reale che soffre.

 

A questo riguardo, occorre ricordare che «negli ultimi trent’anni di globalizzazione, tra il 1990 e oggi, l’Italia è l’unico Paese Ocse in cui le retribuzioni medie lorde annue sono diminuite: -2,9 per cento in termini reali rispetto al +276,3 per cento della Lituania, il primo Paese in graduatoria, al +33,7 per cento in Germania e al +31,1 per cento in Francia. L’82,3 per cento degli italiani pensa di meritare di più nel lavoro e il 65,2 per cento nella propria vita in generale. Il 69,6 per cento si dichiara molto inquieto pensando al futuro, e il dato sale al 70,8 per cento tra i giovani», come rivela il 55° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese.

 

Questi esseri umani, che si celano dietro questi dati statistici e brutalmente silenziati dall’indifferenza e dalla spettacolarizzazione orwelliana della realtà, devono tornare al centro del dibattito pubblico e della scena politica. Quest’ultima deve tornare a riconoscere il volto di chi soffre e di chi aspira ad una vita degna. Parlo del «volto di chi dona con generosità il proprio tempo agli altri. Il volto di chi non si arrende alla sopraffazione, di chi lotta contro le ingiustizie e quello di chi cerca una via di riscatto», disse il Presidente Sergio Mattarella nel suo discorso di insediamento il 3 febbraio 2015 a Montecitorio.

 

La politica riacquisterà autorevolezza se riuscirà a riconnettersi sentimentalmente con questa moltitudine sospesa, nascosta e silenziata, che è attualmente alla ricerca di una rappresentanza. Questo passo va compiuto con lungimirante coraggio perché ne va della qualità e della salute della democrazia, che non può prescindere da un uso responsabile e curato della parola come parte dell’essenza del vivere insieme. Oggi, occorre quindi fare tesoro delle parole di Primo Levi e scegliere di fare i conti con le sfide del Paese reale invece di sospenderle.