I dati spiegano che non sono luoghi di diffusione del contagio. Per questo la scelta misura quanto sia corta la vista di un governo che sacrifica il futuro

Ogni giorno il nuovo ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi si sveglia e sa che dovrà correre più veloce dei dati, delle statistiche e degli esempi opposti degli altri stati europei se vuole continuare a giustificare la scelta irresponsabile di tenere chiuse le scuole. Il trucco di dare la colpa del contagio ai ragazzi sta però diventando sempre più difficile da sostenere e, anche qualora qualcuno spiegasse perché ci si sia accaniti così tanto nel fare dei più piccoli il capro espiatorio delle incapacità degli adulti, bisognerà chiedersi chi pagherà i danni irreparabili di questa chiusura scellerata.
 

Gli ultimi dati sono schiaccianti. Il Corriere della Sera ha pubblicato qualche giorno fa uno studio molto accurato realizzato da un gruppo di scienziati che hanno incrociato i dati del ministero, delle Ats regionali e della protezione civile e dalla ricerca - che restituisce la realtà del 97% degli istituti scolastici - emerge che non solo non c’è correlazione significativa tra diffusione dei contagi e lezioni in presenza, ma che il principio di precauzione suggerirebbe piuttosto di continuare a tenere aperte le scuole per contenere gli altri danni, quelli psicofisici alla salute dei ragazzi e delle loro famiglie, definiti «non ancora misurabili in tutta la loro portata, ma senz’altro irreversibili».

Tenere le scuole chiuse quindi non solo non ferma la diffusione del contagio - in Lombardia e Campania, dopo la chiusura, gli indici Rt e Kd non si sono praticamente mossi - ma aumenta enormemente i danni al resto della salute, dall’ansia alla regressione psicocognitiva, patologie di cui nessuno ha stimato nel breve termine di doversi occupare, neanche nelle previsioni di assegnazione fondi del Recovery Plan, quasi che in tempi di emergenza tutto quello che non ti manda in terapia intensiva non fosse più un problema sanitario.

Nell’ambiente controllato della scuola, solo l’1% dei ragazzi è risultato positivo alle migliaia di tamponi fatti e la frequenza nella trasmissione da discente a docente è statisticamente poco rilevante. È assai più probabile che siano gli adulti a contagiarsi a vicenda in sala professori, ma questo - commenta la biostatistica Sara Gandini che ha partecipato alla ricerca - «è lo stesso rischio che si assume in qualunque ufficio». Eccola, la chiave di comprensione della vicenda: in qualunque ufficio. Gli uffici però sono aperti e nel silenzio generale lo sono sempre rimasti. Il grande rimosso della politica (e anche di buona parte dell’informazione italiana) è che i punti a più alto scambio virale sono quelli di lavoro. Non la movida. Non i musei e i teatri e certo non la scuola, ma gli ospedali, le fabbriche manufatturiere, gli uffici di ogni tipo e i servizi di vigilanza, pulizia e call center a essi connessi. La domanda che davanti a questi dati chiunque si porrebbe - e di certo se la pongono le donne inchiodate a casa a fare gratis il lavoro di insegnante quando fino a pochi mesi fa ne avevano uno retribuito all’esterno - è ovvia: se non sono le scuole i focolai, perché le tenete chiuse? La risposta tocca i grandi interessi economici, quelli contro i quali i bisogni dei ragazzi e delle ragazze fino a ora hanno perso sempre.

Chiudere le scuole è una scelta di ordine politico, non sanitario. Si è preferito dare a intendere che il virus si diffondesse maggiormente dove studiano i ragazzi per nascondere il fatto che il contagio avviene soprattutto dove lavorano gli adulti. Se servissero altre conferme di questo dato, l’Inail ha appena reso noti i dati sugli infortuni sul lavoro denunciati negli ultimi mesi, dai quali risulta evidente che otto su dieci sono casi di contagio da Sars-Cov 2.

La Francia, stesso nostro numero di morti al giorno, le scuole non le ha mai chiuse, sia per non penalizzare i ragazzi nell’apprendimento e nello sviluppo che per non privare il mercato del lavoro dell’apporto essenziale delle loro madri. Sono scelte, certo, ma è da scelte come queste che si misura quanto sia corta la visione di un governo che ha scelto di sacrificare il futuro dei figli al presente dei padri.