L’antitaliana

Il noi e loro dei padri-padrini

di Michela Murgia   16 agosto 2021

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Nella patria del familismo è vietato accostare il patriarcato alla mafia, ma la continuità c’è. Sono sistemi dove non importa chi sei, ma di chi sei

Roberto Saviano, che lungamente ha tenuto prima di me questa rubrica, qualche giorno fa ha rilasciato una dichiarazione pubblica che ha urtato la sensibilità di molte persone e non ha ancora finito di far discutere.

Alla domanda «quando finiranno le mafie?», lo scrittore e attivista ha risposto che questo avverrà solo quando finiranno le famiglie, cioè «quando l’umanità troverà nuove forme d’organizzazione sociale, nuovi patti d’affetto, nuove dinamiche in cui crescere vite». Nella patria del familismo non esiste bestemmia più grande che quella contro la struttura familiare, cara alle destre - che insieme a Dio e Patria ne hanno sempre fatto slogan - ma fondamentale anche per i moderati cattolici, giacché il magistero ecclesiale la considera “la piccola Chiesa”, cellula primaria della società cristiana.
 

Non stupisce dunque che il senatore Salvini, con la consueta profondità di pensiero, si sia affrettato a commentare sui social a proposito di un presunto colpo di caldo dello scrittore, né si contano i molti messaggi dei parlamentari di destra che sono arrivati in privato alle redazioni dei giornali cattolici, per i quali Saviano è spesso una voce ascoltata sui temi dei diritti, nella speranza che sia tolto credito a chi si permette di toccare l’unica cosa che in Italia mette proprio d’accordo tuttə: la sacralità della famiglia.

Eppure Saviano non ha detto niente di così scandaloso associando la struttura familiare tradizionale a quella mafiosa, che si definisce essa stessa “famiglia”. Prima di lui lo avevano fatto i sociologi Edward C. Banfield e Laura Fasano, che dopo aver studiato la società rurale della Basilicata degli anni ’50 arrivarono a mettere a fuoco il noto concetto di familismo amorale, cioè quella tendenza culturale a massimizzare unicamente i vantaggi materiali di breve termine della propria famiglia nucleare, supponendo che tuttə gli altri si comportino allo stesso modo. Al familismo amorale appartiene la logica del “tengo famiglia”, giustificazione di qualunque reato o compromesso morale, perché un sistema organizzato per famiglie non riconosce il bene comune, ma solo la protezione delle rispettive appartenenze.

Le società democratiche moderne strutturano rapporti di affidabilità a prescindere dai legami di sangue e si considerano tanto più evolute quanto più l’affidabilità si estende agli estranei al gruppo familiare. Le società familiste, fatte di tribù e di clan, applicano invece il concetto di bene e di male solo all’interno delle loro strutture di parentela, dove il “noi” della consanguineità è contrapposto al “loro” dei senza legami di carne, e definisce la categoria dell’estraneo come qualcuno a si può fare qualunque cosa. Quel modello, ogni volta che viene messo in discussione, si difende prepotentemente.


Nel 1975 la casa editrice indipendente Stampa Alternativa pubblicò per la prima volta il manuale intitolato “Contro la famiglia”, scandalizzando i benpensanti e causando al suo editore persino conseguenze giudiziarie. Allora il senatore fascista Mario Tedeschi aprì la sua campagna elettorale agitando il libro in mano e i comitati civici della Democrazia Cristiana, ancora piuttosto potenti, raccolsero le firme in tutte le parrocchie per ottenerne il sequestro dalle librerie, cosa che poi avvenne. Il libro, reperibile in rete e oggi in parte datato, pone però ancora questioni interessanti su quella che ci piace chiamare famiglia tradizionale. Di tradizionale c’è solo il patriarcato, un sistema di poteri patogeno dove le persone sono ruoli, le relazioni dispositivi di controllo e i legami familiari meccanismi di deresponsabilizzazione dei singoli. In quel sistema è molto più importante dire di chi sei, piuttosto che chi sei o chi vorresti essere.

Non c’è quindi nulla di inesatto nell’affermare che dietro a ogni padrino mafioso ci sia l’ombra di un padre così inteso, né che i giuramenti di sangue che ti rendono parte di una famiglia malavitosa siano ricalcati sul concetto di appartenenza del modello familiare patriarcale. Sarebbe prezioso ricordarselo ogni volta che qualcunə cerca di dar valore alle sue parole affermando «lo dico da padre».