Politica
30 luglio, 2025Articoli correlati
Il governo invia un documento alla Corte de l'Aja in cui rivendica la "buona fede" nella gestione del caso del comandante libico poi rilasciato: "Il mandato d'arresto conteneva inesattezze”. Attesa per la decisione del tribunale dei ministri
Sul caso Almasri il governo italiano insiste e rivendica – ancora una volta – di aver agito correttamente. In un documento di 15 pagine trasmesso alla Corte de L’Aja, l’Italia ribadisce di non aver violato gli obblighi di cooperazione in riferimento al rilascio del comandante libico su cui pendeva un mandato d’arresto spiccato dalla Corte penale internazionale. Il governo contesta, come ha fatto il ministro della Giustizia Carlo Nordio quando ha riferito in Parlamento, le “incertezze" presenti nel mandato d’arresto della Cpi, sottolineando di aver agito “in buona fede”.
Qualche settimane fa, però, alcune conversazioni interne al dicastero di via Arenula allegate agli atti di chiusura indagini da parte del tribunale dei ministri – che, oltre Nordio, sta indagando su Meloni, Mantovano e Piantedosi: si attende a giorni la richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione – proverebbero in realtà come il Guardasigilli fosse stato al corrente dell’arresto di Almasri e che il ministero avrebbe avuto, potenzialmente, il tempo per rimediare a quegli errori procedurali che, secondo l’interpretazione del governo, avrebbero portato alla scarcerazione e al rimpatrio del comandante libico.
Le “incertezze” contenute nel mandato di arresto spiccato dalla Cpi, si legge nel documento italiano, riguardavano "gli elementi chiave dei presunti crimini, come le date della loro perpetrazione, che il procuratore caratterizza come semplici errori tipografici, senza tuttavia riconoscere che questi elementi sono stati successivamente corretti, insieme ad altri elementi essenziali, inclusa la qualificazione giuridica dei presunti crimini”. Per il governo, poi, sarebbe un “malinteso” l’idea che il successivo rimpatrio in Libia di Almasri sia stato "conseguenza automatica" della richiesta di estradizione libica, indicata invece come un "ulteriore elemento di complessità" nell'esame della cooperazione con la Cpi. "Almasri è stato rimpatriato non in esecuzione della richiesta di estradizione, ma in virtù di un decreto di espulsione" per "ragioni di ordine pubblico e sicurezza nazionale", spiega ancora il governo italiano, respingendo ogni accusa di "incoerenza" nella sua condotta e indicando il rimpatrio come "l'unica via giuridicamente e praticamente fattibile".
Nel documento trasmesso in questi giorni a L’Aja, il governo contesta anche il ruolo assunto dl procuratore della corte internazionale, sostenendo che la Cpi "non ha il compito di giudicare eventuali violazioni della cooperazione né il potere di interpretare le disposizioni interne" e "non può deferire la questione agli Stati parte" o al "Consiglio di Sicurezza dell'Onu".
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