Di fronte alla concreta possibilità dell’apocalisse, sembriamo mitridatizzati. Non c’è reazione di massa, non si vede alcuna reale volontà di impedirla

Non è certo una novità che da parte delle grandi potenze in conflitto si agiti l’immagine della rappresaglia atomica con conseguente, probabile “soluzione finale”. Un’apocalisse senza Giorno del Signore, senza Giudizio, senza Paradiso né Inferno.

 

L’atomica è già stata usata, bene non dimenticarlo. Il suo “Caso” è già avvenuto e potrebbe perciò ripetersi anche su scala globale. Non si tratta di un impossibile. È un Caso ampiamente contemplato in tutti i contemporanei manuali di strategia. La straordinaria novità è che di fronte a un simile Caso l’opinione pubblica mondiale sembri ormai mitridatizzata. Nessuna reazione di massa, nessuna esplicita, consapevole, razionale volontà di impedirlo. Peggio che un senso di impotenza, una sensazione di inevitabilità - si diffonde quasi una sorta di pulsione “interventista”, quasi il bisogno di giungere a una “resa dei conti”, dalla quale soltanto possa nascere un nuovo e stabile Ordine.

 

In fondo le grandi guerre a questo hanno condotto. Che la guerra nulla risolva è pacifismo d’accatto. Le guerre risolvono eccome. Solo che forse la vera arte politica dovrebbe prima di tutto cercare di evitarle. Soprattutto quando si tratta di guerra atomica. Forse occorrerebbe pensare che un Ordine su questo maltrattato pianeta può essere ottenuto anche con altri mezzi, che non sia quello di farci ripartire dal deserto. Sembra invece che ci si arrenda piano piano ad assistere a quel Caso sotto la cui minaccia abbiamo sempre vissuto, ma contro cui fin qui abbiamo anche sempre lottato. Di fronte alla sua concreta possibilità vaste correnti di opinione pubblica ondeggiano tra rassegnata attesa, inoperosa speranza e la virile spregiudicatezza di chi afferma: ebbene, se il nemico non cede alle mie ragioni venga pure anche l’atomica a distruggerlo.

 

L’appello alla Pace in nome della salvezza dell’Umanità è un nobile nonsenso. L’Umanità non è un soggetto politico e non vi è alcun potere politico che la ordini nel suo insieme. Il Fine della Repubblica mondiale è destinato forse a un’eterna attesa. Questo significa che nell’assenza di una Sovranità meta-statuale, di un Diritto internazionale integralmente assunto nel diritto positivo dei singoli Stati, dobbiamo arrenderci al fatto che il Caso prima o poi capiti davvero? Poiché manca ogni Giudice terzo nel conflitto tra grandi potenze e di fronte alla crescente e evidente impotenza degli organismi internazionali inventati per risolverlo, dobbiamo attendere quel Caso armati solo di timore e tremore? Realisti, certo, occorre essere, e perciò sapere non solo che la guerra rimane l’estremo orizzonte della politica, che sotto l’ombra della guerra atomica noi già ci siamo da ormai quasi un secolo, ma anche che la possibilità che essa abbia luogo non dipende soltanto, come ogni fatto del mondo, da nostre intenzioni o nostri calcoli, ma dal combinarsi imprevedibile di mosse, di atti spesso in contraddizione con gli stessi fini che cercavano di perseguire. Dobbiamo sapere tutto questo, ma anche volere la pace, opporre il suo Caso a quello della Guerra. Esigere da tutti che mostrino nei fatti di volerla. Riconoscere le ragioni dell’uno e i torti dell’altro, certo, ma esigere anche da chi secondo noi ha ragione di dimostrare la sua volontà di pace e non soltanto il suo, per quanto comprensibile, odio per il nemico.

 

Doveva essere questo il grande significato etico e politico dell’Unione Europea, come potenza globale, dotata certo anche di una difesa comune, ma al fine di poter svolgere una autonoma politica internazionale. L’Europa pensata dai suoi ultimi, veri leader, quella della Casa Comune, luogo del dialogo, della mediazione, della indefessa ricerca di intesa tra Mediterraneo, Grande Isola atlantica, grande Terra russa e oltre ancora le potenze imperiali dell’Est. Nient’affatto neutrale, nient’affatto equidistante, vera patria dei diritti (ciò che non è stata e non è per le grandi tragedie medio-orientali, per il dramma dei profughi), ma neppure mai subalterna provincia.

 

Ora, molto, troppo vicini alla tragedia che fino a ieri ci sembrava inconcepibile, comprendiamo quanto potrebbe costare a tutto il nostro genere l’assenza di questa Europa, che enorme peccato si è commesso nel saperla necessaria e nel non aver saputo realizzarla.