Se si osservano i resoconti sull’Unione Europea degli ultimi due decenni, si ha l’impressione che la comunità di Stati stia inciampando in una crisi dopo l’altra e sia costantemente sull’orlo del baratro. Eppure la discussione pubblica sembra seguire sempre la stessa drammaturgia: si enfatizzano i conflitti interni all’Europa, si afferma che gli egoismi nazionali metterebbero a repentaglio la coesione dell’Unione, si evoca addirittura la sua disgregazione e si dichiara praticamente impossibile un accordo. Quando i capi di governo trovano finalmente un compromesso nel corso di lunghe trattative, si dice che la comunità l’ha scampata per un pelo - finché il gioco non ricomincia con la grande sfida successiva, uno o due anni dopo.
Se invece si osservano i risultati dei sondaggi condotti nei vari Paesi dell’Ue sul tema dell’unificazione europea, emerge un quadro diverso. C’è molta insoddisfazione per le politiche delle istituzioni europee, in particolare della Commissione, e dubbi diffusi sul fatto che l’appartenenza all’Ue sia effettivamente vantaggiosa per il proprio Paese. Tuttavia il regolare ripetersi di crisi che presumibilmente minacciano l’esistenza dell’Unione Europea non causa una perdita di fiducia nel processo di unificazione, ma piuttosto fa sì che la sua approvazione da parte dei cittadini degli Stati membri venga nuovamente mobilitata. Al culmine della cosiddetta crisi dell’euro, ad esempio, l’accettazione della moneta comune è cresciuta in modo significativo proprio in Germania, la cui popolazione aveva a lungo rimpianto il marco tedesco. La decisione della Gran Bretagna di lasciare l’Unione Europea non ha portato a una completa rottura della comunità, come avevano affermato i sostenitori della separazione nel periodo precedente la crisi, ma piuttosto a un aumento del gradimento della comunità da parte dei cittadini dei Paesi membri.
La pandemia ha anche reso più forte, anziché più silenziosa, la richiesta di una maggiore integrazione europea. In questo contesto i risultati di un sondaggio multinazionale condotto dall’European Council on Foreign Relations nell’aprile-maggio 2020 sono rivelatori e mostrano che, almeno in questa fase relativamente iniziale della pandemia, i cittadini di nove diversi Paesi dell’Ue erano prevalentemente scettici nei confronti della comunità. Alla domanda se la loro immagine dell’Ue fosse migliorata o peggiorata durante la crisi da Covid-19, almeno la maggioranza relativa degli intervistati, e persino la maggioranza assoluta in Spagna e Italia, ha risposto che la loro immagine dell’Ue era peggiorata sotto l’impatto della crisi. Ma questo non ha portato i rispondenti a dichiarare superflua l’Unione, anzi. Nello stesso sondaggio un numero significativamente maggiore di intervistati in tutti i Paesi partecipanti si è detto d’accordo con l’affermazione «La crisi da Covid-19 ha dimostrato che abbiamo bisogno di una maggiore cooperazione a livello di Ue» rispetto alla posizione opposta «La crisi da Covid-19 ha dimostrato che l’integrazione europea si è spinta troppo oltre».
In passato, quando si discuteva pubblicamente dell’unificazione europea, l’attenzione era solitamente rivolta agli aspetti economici di questo processo. Ma l’attacco della Russia all’Ucraina ha portato a un cambiamento nella visione del ruolo geopolitico dell’Unione Europea, almeno in alcuni Paesi europei. Una forza trainante sembra essere l’impressione che l’Europa unita non sia abbastanza forte nell’attuale situazione di crisi. Probabilmente questo è particolarmente sentito come un deficit nella situazione attuale, perché anche negli Stati membri più grandi dell’Ue i cittadini non si fanno grandi illusioni sul peso internazionale dei loro Paesi. In Francia, il 62% degli intervistati in un sondaggio rappresentativo dell’Istituto Ifop nel marzo 2022 si è detto d’accordo con l’affermazione «La Francia può fare davvero la differenza solo nel quadro dell’Unione europea». Solo il 38% ha optato per la posizione opposta: «La Francia non ha bisogno di strutture come l’Unione Europea per esercitare influenza a livello internazionale». Nel giugno 2022 l’Istituto Allensbach per la ricerca sull’opinione pubblica ha presentato ai suoi intervistati le stesse affermazioni in Germania, con risultati dalle percentuali quasi identiche.
Sembra quindi logico che, in reazione alla guerra in Ucraina, sia aumentato sensibilmente anche il sostegno alla creazione di un esercito comune europeo. Nel 2017, in un sondaggio dell’Istituto Allensbach per la ricerca sull’opinione pubblica in Germania, il 34% era ancora favorevole a tale passo, mentre praticamente lo stesso numero, il 35%, era contrario. Nel giugno 2022, invece, i favorevoli hanno superato nettamente i contrari, 43 contro 29 per cento. I risultati di un sondaggio online progettato dall’Istituto universitario europeo e gestito da YouGov, condotto nell’aprile 2022 in 16 dei 27 Stati membri dell’UE, sono stati ancora più chiari. In tutti i 16 Paesi il numero di intervistati favorevoli alla costruzione di un esercito europeo unificato ha superato quello dei contrari, e in 13 di questi Paesi il divario tra i favorevoli e i contrari a una forza armata europea è stato di 20 punti percentuali o più. Solo in Bulgaria, Slovacchia e Danimarca il divario era minore.
In sintesi, i sondaggi mostrano la stessa cosa: le ricorrenti e intense discussioni sulle crisi dell’Unione europea non sono un segno della sua prossima scomparsa, ma anzi rafforzano il senso di comunità in Europa. L’impressione che la coesione dell’Unione europea possa essere messa in pericolo rende ovviamente molti cittadini davvero consapevoli del suo valore.
Thomas Petersen insegna presso l’Università tecnica di Dresda e lavora come project manager dell’Istituto Allensbach per la ricerca sull’opinione pubblica. Le sue pubblicazioni includono la comunicazione visiva, la ricerca elettorale e la teoria dell’opinione pubblica.
Traduzione di Amanda Morelli
A cura di Amélie Baasner