I giovani di Ponticelli e Acerra sfilano in corteo contro i clan, 40 anni dopo la marcia che vide uniti vescovo e comunisti nella Ottaviano di Raffaelle Cutolo. Ma sono soli, senza istituzioni

Politici: zero. Istituzioni: assenti. Soli con la loro paura e il loro coraggio. Si sono organizzati spontaneamente per protestare contro la camorra. Studenti delle superiori e qualche genitore. Perché non è normale che davanti a una scuola elementare avvenga una sparatoria in pieno giorno, all’orario di uscita dalle lezioni. Ponticelli, periferia orientale di Napoli. Un tempo polo industriale circondato da laboriose masserie agricole. Oggi piazza di spaccio contesa tra nuovi e vecchi clan partenopei. Bombe, ferimenti, “stese” per affermare il potere criminale su una comunità di 50 mila abitanti. Non è facile sfilare in corteo contro i clan, metterci la faccia. Ci sono riusciti, erano quasi duemila l’11 novembre nelle vie di Ponticelli. Nessun parlamentare: non sapevano, si sono giustificati. I due assessori inviati dal sindaco Gaetano Manfredi in rappresentanza del Comune di Napoli, Emanuela Ferrante e Antonio De Iesu, sono arrivati goffamente in ritardo. A corteo già terminato.

 

Scena simile il giorno dopo ad Acerra, un grosso centro del Napoletano dove in anni passati fu vescovo don Antonio Riboldi, del quale, il prossimo 16 gennaio, cade il centenario della nascita. Rappresentanze politiche invisibili nel corteo anticamorra promosso dagli studenti del liceo cittadino. Unica eccezione il sindaco Tito d’Errico, eletto lo scorso giugno da un’aggregazione civica di centrosinistra nata in contrapposizione all’alleanza Pd-M5S. I ragazzi di oggi di Acerra con la loro manifestazione avrebbero voluto rendere omaggio anche ai ragazzi di ieri, quelli che giusto 40 anni fa, in uno slancio di lucida follia, dettero vita al più grande movimento anticamorra mai visto a Napoli e in Campania.

 

È il 17 dicembre 1982, una mattina piovigginosa di fine autunno. A Ottaviano sta per accadere qualcosa di clamoroso. Il paese è tristemente famoso in tutta Italia perché è il feudo di un criminale cinico e sanguinario, Raffaele Cutolo, capo della Nco, la nuova camorra organizzata, un’accozzaglia di malfattori di campagna trasformata in un esercito pronto a sostituire l’autorità dello Stato: 284 omicidi in dodici mesi, nell’impotenza dei poteri pubblici. Ottaviano viene invasa da un corteo di 100 mila studenti scortati dai delegati sindacali delle grandi fabbriche metalmeccaniche della vicina Pomigliano d’Arco. Alla loro testa marcia un insolito gruppo di leader. Ci sono due vescovi, il ribelle Antonio Riboldi, giunto dalla Sicilia alla guida della diocesi di Acerra, e il colto biblista Giuseppe Costanzo, da Nola. C’è il carismatico segretario nazionale della Cgil, Luciano Lama. E due dirigenti politici, Antonio Bassolino e Raffaele Tecce, uno segretario regionale del Pci e l’altro del piccolo PdUp, formazione a sinistra dei comunisti. Evento dirompente in quegli anni di sangue e di piombo. Lama sottolinea di trovarsi per la prima volta in vita sua su un palco insieme a due vescovi. Per don Riboldi quel giorno «è una data storica; è il nostro 25 aprile. Qui da noi il fascismo si chiama camorra. Questa è la nostra guerra di Liberazione». Lungo tutto il percorso del corteo e nella piazza del comizio vigilano dai tetti i cecchini di polizia e carabinieri, affinché eventuali killer del clan non sparino sui manifestanti. Dice il comunista Bassolino: «Mafia e camorra sono il terrorismo del Mezzogiorno».

 

Il terrorismo mafioso in quell’anno 1982 esegue a Palermo due delitti eccellenti: il 30 aprile cade il comunista Pio La Torre, il 3 settembre il generale Carlo Alberto dalla Chiesa. La camorra invece viene sottovalutata; nei palazzi romani gode di un’inquietante disattenzione nonostante una catena di omicidi politici stia insanguinando l’area napoletana. Assassinati sindaci, consiglieri comunali, servitori dello Stato. Un’escalation di violenza culminata nel grumo oscuro di scambi di favore tra terroristi, clan e servizi segreti per favorire la liberazione di Ciro Cirillo, l’assessore regionale rapito dalle Brigate rosse nel 1981. Seguì l’esecuzione di un super-poliziotto, Antonio Ammaturo. Delitto firmato Br, utile alla camorra. Era il 15 luglio 1982, i giorni esaltanti del Mondiale in Spagna. Solo dopo il caso Cirillo, Sandro Pertini interviene dal Quirinale ordinando il trasferimento del boss Cutolo nel supercarcere dell’Asinara.

 

«Gli anni Ottanta sono quelli del coraggio», scrive Pietro Perone nel suo appassionato libro “Don Riboldi, 1923-2023. Il coraggio tradito” (edizioni San Paolo, pagg. 224, 18 euro). Perone, oggi giornalista del “Mattino” di Napoli, è il ragazzo che quel 17 dicembre di 40 anni fa parlò dal palco di Ottaviano al fianco dei due vescovi e del segretario della Cgil. Ricostruisce nel dettaglio la nascita e il declino del movimento anticamorra; le speranze e le successive delusioni. Furono ricevuti, quegli studenti coraggiosi, da Enrico Berlinguer a Botteghe Oscure, il 27 maggio dell’anno successivo, poco prima delle elezioni politiche, quelle del «non moriremo democristiani», con il Pci appena tre punti sotto la Dc. Ma fu un fallimento la manifestazione nazionale organizzata a Roma il 5 maggio 1984, pensata dopo l’incontro con il segretario del Pci: dai 100 mila di Ottaviano ai 10 mila della Capitale. Segnò la fine.

 

La lotta alla camorra - nella strategia del Pci - era anche lotta alla Democrazia cristiana. Così, collassata la prima Repubblica, le formazioni derivate dal partito di Berlinguer hanno smesso di considerare una priorità il contrasto alla criminalità organizzata. Distrazione aumentata quando hanno raggiunto posizioni di governo, sia su scala nazionale che locale. «L’errore che avrebbe depotenziato il valore di quella rivolta purtroppo viene commesso», sostiene Perone, cioè «il collateralismo tra partito e movimento».

 

Il rischio di diventare collaterali a qualche partito di oggi non esiste per gli studenti di 40 anni dopo. Invisibili agli occhi di una politica senza più legami con la realtà, senza radici nei territori. La denuncia dei soprusi compiuti dai clan non crea consenso sociale, ammette Francesco Borrelli, neodeputato dei Verdi, aggredito sotto casa a Napoli per le sue campagne a favore della legalità. Nel corso dell’anno due grossi Comuni del Napoletano sono stati sciolti per infiltrazioni di camorra, Castellammare di Stabia e Torre Annunziata. Sindaco forzista il primo, dem il secondo. Collusioni bipartisan. Nel 1982 entrambe le città furono al centro del movimento anticamorra. Oggi, dopo lo shock dello scioglimento, non è accaduto nulla. Solo disincanto e rassegnazione.