Europa Oggi
Ora che è finito il mondiale più odiato, può finire anche l’indignazione a scoppio ritardato
Ci si è accorti dei problemi di diritti umani in Qatar dodici anni dopo l’assegnazione. Le potenti federazioni europee non hanno fatto sentire la loro voce. Perché contano solo i soldi
Che cosa rende il calcio così affascinante? Non sono forse quei momenti in cui il gioco viene completamente da sé, in cui gli spettatori si dimenticano di se stessi e si lasciano sorprendere da rovesciate, salvataggi geniali o passaggi da sogno? Sono momenti imprevisti di beatitudine, quando Davide vince contro Golia e all’improvviso non conta più nulla di ciò che potrebbe rovinare il piacere del calcio.
Anche la Coppa del Mondo in Qatar ci ha dato questa felicità. È stato bello vedere, ad esempio, una squadra sfavorita come il Marocco riuscire a battere la Spagna e il Portogallo, apparentemente troppo forti, o vedere il portiere Bono diventare il match-winner ai rigori e assicurarsi un posto nella galleria degli eroi della Coppa del Mondo per sempre. Il torneo in Qatar aveva bisogno di momenti come questo più di qualsiasi altro torneo. Mai una Coppa del Mondo è stata così odiata dagli amanti del calcio. Quasi nessuno voleva entusiasmarsi per le partite giocate in inverno in uno Stato desertico che ha fornito la squadra ospitante più debole di sempre e i cui tifosi hanno lasciato lo stadio molto prima della fine della partita quando era chiaro che la loro squadra stava perdendo.
Le critiche europee a questa Coppa del Mondo sono arrivate tardi. Dodici anni fa, il Qatar ha vinto la gara d’appalto in condizioni strane. Sono stati concessi dodici anni per protestare ad alta voce contro le violazioni dei diritti umani, l’omofobia e le condizioni di lavoro non dignitose. Dodici anni non sono bastati alle potenti federazioni europee per usare il loro potere contro la Fifa e il suo controverso presidente Gianni Infantino e impedire questo torneo.
Solo poche settimane prima della partita inaugurale, le menti critiche si sono svegliate e hanno agito come se avessero appreso allora degli abusi in Qatar. Le emittenti, che avevano pagato ingenti somme di denaro per i diritti di trasmissione, si sono improvvisamente trovate a dover raccontare di movimenti che chiedevano il boicottaggio televisivo dei Mondiali. Dal canto loro i giocatori, che considerano la Coppa del Mondo come l’apice della loro carriera, si sono improvvisamente sentiti obbligati a fare dichiarazioni politiche e a pensare a fasce arcobaleno o per un solo amore.
Lo sport, in particolare il calcio, è sempre stato il palcoscenico migliore per i doppi standard. È noto da tempo che il commercio governa il calcio globale e che i tifosi non sono altro che un male necessario. Nessuna indignazione morale potrà essere utile contro lo strapotere del denaro. Se non si può impedire un torneo in Qatar, non ha senso fare dell’indignazione morale a due settimane dal calcio d’inizio. Nelle ultime settimane abbiamo assistito a messinscene in cui sono state dichiarate banalità apparentemente importanti. Ad esempio, quando la ministra dell’Interno tedesca, Nancy Faeser, ha indossato una fascia arcobaleno durante un incontro con il presidente della Fifa Infantino, si è fatto credere che avesse compiuto un grande atto di coraggio politico.
Ma forse si può anche riconoscere un progresso in questa indignazione, anche se ipocrita. Il fatto che si sia discusso delle implicazioni morali del Qatar come Paese ospitante segnala almeno che la coscienza pubblica non accetta più tacitamente ogni imposizione. Nel 1978, quando i Mondiali di calcio si svolsero in Argentina, un Paese governato da una brutale giunta militare, ci fu un diffuso silenzio, si ripeté la vecchia storia dello sport che non aveva nulla a che fare con la politica. Oggi quasi nessuno ci crede.
Le partite di calcio regalano esperienze di felicità anche in condizioni poco dignitose e i tifosi non vogliono perdersi queste esperienze di felicità, pur in tali condizioni poco dignitose. In tempi in cui i movimenti nazionalisti stanno guadagnando terreno ovunque, una Coppa del Mondo serve sempre a rafforzare simbolicamente le nazioni in lotta. Se il Marocco gioca meglio del previsto, fa piacere al popolo marocchino e accresce la sua fiducia in se stesso; se l’Inghilterra si comporta bene, fa dimenticare per un po’ la disastrosa gestione del Paese negli ultimi anni.
La Germania ha sperato invano di ottenere una spinta simbolica da questa Coppa del Mondo. La politica e il calcio sono sempre stati stranamente legati in questo Paese. Se si giocava bene, il Paese andava bene. Se si vinceva un titolo di Coppa del Mondo, l’autostima aumentava automaticamente. È il caso del 1954, quando la sorprendente vittoria sull’Ungheria in finale fu percepita come una sorta di reintegrazione nella comunità delle nazioni. E così è stato nel 1990, quando la Germania è diventata campione del mondo proprio nell’anno della riunificazione dei due Stati tedeschi e l’allenatore Franz Beckenbauer ha dichiarato con arroganza di essere virtualmente invincibile in futuro.
Questa arroganza è stata vendicata amaramente: ci sono voluti più di vent’anni perché il calcio tedesco raggiungesse di nuovo il livello mondiale e vincesse il suo ultimo titolo nel 2014. Il fatto che la Germania sia stata eliminata per due volte di fila nelle fasi preliminari della Coppa del Mondo - nonostante abbia giocatori eccezionali e rispettati a livello internazionale - è più di un fallimento sportivo: mostra la debolezza strutturale di un intero Paese che si sente segretamente un campione del mondo a cui è stato impedito di vincere e che in realtà offre una prestazione debole su molti livelli. Non è un caso che la Germania abbia fallito per anni anche su un altro palcoscenico simbolicamente carico: l’Eurovision Song Contest, dove la gente si è abituata a vedere i rappresentanti tedeschi piazzarsi fra i perdenti per anni.
L’Italia, che è mancata molto a questa Coppa del Mondo, non ha bisogno di porsi tali domande. Non ha partecipato e quindi non ha dovuto lottare per il riconoscimento sportivo e simbolico. E del resto, in Italia si poteva osservare in tutta tranquillità come altrove si fosse riaperto il barile della politica e degli atteggiamenti e si fosse assistito al boom dei predicatori morali e dei saputelli che - tratto tipico del nostro tempo - credono sempre che la coscienza giusta sia dalla loro parte.
Per inciso, i Mondiali di calcio del 2026 si svolgeranno in Canada, Messico e Stati Uniti. Ci saranno certamente occasioni di indignazione morale…
Traduzione di Amanda Morelli, a cura di Amélie Baasner
Rainer Moritz è il direttore della Literaturhaus di Amburgo. Da giovane è stato arbitro di calcio e aveva un debole per Giacinto Facchetti. È membro del TSV 1860 Monaco, scrive recensioni letterarie per la Neue Zürcher Zeitung e libri sul calcio, tra le altre cose