Europa Oggi
La crisi tra Francia e Germania è anche una questione di pregiudizi
L’attività diplomatica per ricucire i rapporti tra i due Paesi, difficili come mai da anni, si è fatta sempre più frenetica. E oltre alle divergenze politiche pesano anche antichi luoghi comuni
Attività frenetica tra Berlino e Parigi - la prima ministra francese Elisabeth Borne e il cancelliere Olaf Scholz dichiarano, dieci giorni fa, che i rapporti tra i due paesi non sono mai stati così buoni e stretti. Poco prima il presidente Emmanuel Macron riceve la ministra degli Affari Esteri Annalena Baerbock, poi il Ministro delle Finanze Christian Lindner e quello dell’Economia Robert Habeck. Tutti invitati alla sede della presidenza francese, il sontuoso Palazzo dell’Elysée, un onore normalmente riservato ai capi di stato o di governo di Paesi partner della Francia. Raramente si sono visti tanti viaggi diplomatici e una tale esibizione di unità tra i due paesi. Borne e Scholz hanno pure firmato un accordo di solidarietà reciproca nell’approvvigionamento energetico, un accordo messo in scena davanti alla stampa internazionale, anche se in verità già da parecchio tempo i tedeschi forniscono elettricità alla Francia e la Francia trasporta gas verso la Germania.
Gli osservatori non credono ai loro occhi, perché solo un mese fa una crisi importante minava la stabilità di quella che spesso viene chiamata la “coppia franco-tedesca”. Macron aveva deciso di annullare all’ultimo momento il vertice dei due governi previsto per il 23 ottobre, perché il partner tedesco non gli sembrava sufficientemente motivato per trovare compromessi su questioni urgenti a livello europeo e bilaterale.
Un conflitto aperto di tale portata non si vedeva da tempo. Un’irritazione crescente e una mossa politica nazionale dopo l’altra che, accumulandosi, alla fine hanno fatto traboccare il vaso. Come ha dimostrato Michel Derdevet tre settimane fa in queste pagine, la crisi è profonda perché riguarda non solo progetti concreti, nell’industria degli armamenti ad esempio, ma anche concezioni divergenti sulla strategia dell’Ue nei suoi rapporti con gli Stati Uniti e la Cina. Le reazioni dei media europei più importanti sono state dettate da una grande preoccupazione. Jacques Attali, ex-consigliere di François Mitterrand, in un contributo sulle pagine di Les Echos, non escludeva neppure una nuova guerra tra Germania e Francia prima della fine del secolo.
Come spiegare questo rapporto complicato e fragile malgrado la lunga esperienza nella cooperazione bilaterale, e il gran numero di rapporti istituzionalizzati a tutti i livelli, politici, economici e sociali? Germania e Francia sembrano Paesi talmente antitetici che un’intesa spontanea pare esclusa. Storicamente il loro antagonismo nasce molto tempo prima delle guerre devastanti tra il 1870 e il 1945: fin dagli esordi del movimento liberal-nazionale tedesco negli anni 1800, la costruzione di un’identità filosofica e anche politica della Germania era orientata contro la Francia. Fichte, nei suoi famosi “Discorsi alla nazione tedesca”, combatteva l’idea chiave della Rivoluzione francese che vedeva nell’individuo, considerato il “citoyen”, l’attore principale dello Stato moderno, sottolineando invece l’importanza dell’appartenenza a una comunità (germanica) quasi tribale.
Wilhelm von Humboldt, nella sua grande riforma del sistema pedagogico e universitario tedesco, spazzava via la tradizione dell’educazione gesuita, mettendo al suo posto il concetto di “Bildung”, una visione quasi organica dell’educazione secondo cui, invece di inculcare sapere, il ruolo del professore è quello di accompagnare lo sviluppo di un potenziale che il giovane ha, in nuce, già dentro di sé. E per dare un terzo esempio, la poetica della letteratura di lingua tedesca di quell’epoca si opponeva radicalmente alle regole del classicismo francese per mettere in risalto il “genio”, ispirato da forze divine e per niente sottoposto alle norme dell’Académie française.
Questo richiamo storico, che si potrebbe prolungare citando Clausewitz e la sua replica anti-napoleonica sull’arte della guerra e la serie di umiliazioni reciproche durante le tre guerre, dal 1870 al 1940, dimostra quanto è difficile, anche tra Paesi amici, guardarsi in faccia senza avere in testa, consapevolmente o meno, delle idee preesistenti.
Proprio in momenti di tensione, come quelli che stiamo vivendo in questi ultimi mesi se non anni, gli stereotipi che tutti noi abbiamo rispetto ad altri Paesi, hanno il loro peso. Pochi sarebbero in grado di spiegarne le origini storiche, ma è proprio questo che complica la nostra collaborazione. Raramente siamo coscienti che spesso riproduciamo vecchi modelli anche se in veste più contemporanea. I tedeschi visti dai francesi? Egoisti e fissati sul loro modello economico con la dipendenza energetica dalla Russia e quella commerciale dalla Cina. I francesi visti dai tedeschi? Troppo protezionisti, antiamericani e vanitosi malgrado la debolezza della loro industria, sempre pronti ad imporre la loro visione universalista del mondo “alla francese”. Alcuni di questi giudizi preconfezionati riposano sicuramente su delle osservazioni giuste: in ogni stereotipo c’è un pizzico di verità. Al limite ci si può anche ridere sopra, come nelle barzellette del tipo: «Il paradiso è dove i tedeschi sono gli organizzatori, i francesi i cuochi, gli svizzeri i banchieri, gli inglesi sono i poliziotti e gli italiani sono gli amanti», mentre: «L’inferno è dove i tedeschi sono i poliziotti, gli italiani sono gli organizzatori, i francesi sono i banchieri, gli inglesi sono i cuochi e gli svizzeri sono gli amanti».
Purtroppo non basta farsi una risata, anche se può aiutare a sbloccare la situazione. Gli scambi tra i grandi Paesi sono troppo importanti per l’Europa per lasciare la cooperazione al caso. Le percezioni schematiche che tutti abbiamo in testa ci conducono troppo spesso a giudizi prematuri, prima di aver ascoltato l’altro, prima di aver cambiato prospettiva.
La cooperazione - e quello che vale per la Francia e la Germania vale per tutti i paesi dell’Ue - richiede un’attenzione particolare, la capacità di ascolto e di autocritica. Il motto dell’Ue “unita nella diversità”, se vuole essere più di una formula vuota, richiede tanto il rispetto delle particolarità quanto lo sforzo nella ricerca di interessi comuni.
Traduzione di Amanda Morelli
L’autore
Nato nel 1957, Frank Baasner ha vissuto e lavorato in vari paesi europei. È cattedratico alla facoltà di lettere dell’Università di Mannheim, e dal 2001 è direttore dell’Istituto Franco-Tedesco di Ludwigsburg. Per più di 25 anni ha lavorato come consulente per la cooperazione tra Francia, Germania e Italia sia nel settore privato, sia in quello pubblico. È autore di libri e saggi sui rapporti tra paesi europei