Il balzo del Pil non deve ingannare: dei 540mila posti creati nel 2021, 434mila sono a termine. Che significano lavoratori impoveriti, soprattutto donne, giovani e migranti

«Il mio pensiero, in questo momento, è rivolto a tutte le italiane e a tutti gli italiani: di ogni età, di ogni regione, di ogni condizione sociale, di ogni orientamento politico. E, in particolare, a quelli più in sofferenza, che si attendono dalle istituzioni della Repubblica garanzia di diritti, rassicurazione, sostegno e risposte al loro disagio», ha detto il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo messaggio di giuramento davanti alle Camere riunite.

Qualche giorno prima del discorso d’insediamento del Capo dello Stato, l’Istat ha reso note le statistiche relative alla crescita del Pil del nostro Paese, che si attesta al 6,5% nel 2021. Questa notizia è stata ovviamente e legittimamente seguita da reazioni trionfalistiche da gran parte della politica, degli accademici e dei media. Tuttavia, occorre domandarsi se questa crescita economica abbia avuto un impatto positivo sul Paese reale e abbia migliorato la qualità di vita delle persone.

A questo proposito, una risposta sembra arrivare dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel) che afferma: «I lavoratori dipendenti a tempo determinato sono aumentati del 5,4%, passando dai 2,9 milioni di febbraio 2020 a 3 milioni e 67 mila di ottobre 2021. Si tratta di un numero maggiore di quello pre-pandemico. Anche le comunicazioni obbligatorie mostrano che nel 2021 la quota dei rapporti di lavoro cessati, con durata inferiore o pari a un anno, era il 74,7% nel primo trimestre e l’82,3% nel terzo trimestre, mentre i contratti con durata tra 1 e 3 giorni sono cresciuti da 265 mila a 433 mila (+63,4%) nello stesso periodo».

In sostanza, il Cnel rileva, con attenzione e alla luce della complessità del mondo del lavoro, come la precarietà lavorativa sia vertiginosamente ed esponenzialmente aumentata durante il 2021, ovvero l’anno della crescita economica. In termini numerici, il precariato è aumentato del 5,4% in Italia e complessivamente dei 540mila posti di lavoro del 2021, 434mila sono contratti a termine (dati Istat).

Questo quadro socio-economico, dipinto dai dati Istat e Cnel, ci illustra che la crescita del Pil in Italia è stata accompagnata dall’aumento dell’impoverimento lavorativo, che colpisce soprattutto i giovani e le donne. Queste due categorie sociali, maggiormente vittime della disuguaglianza lavorativa insieme ai migranti, hanno sofferto più di tutti la pandemia e le sue conseguenze.

In sintesi, si potrebbe affermare che l’aumento del Pil avviene in concomitanza con la crescita del lavoro povero che genera lavoratrici e lavoratori impoveriti senza possibilità di costruirsi un futuro migliore. A questo riguardo, occorre ricordare che ci sono oltre due milioni di lavoratrici e lavoratori che guadagnano circa 6 euro lordi all’ora (secondo il presidente dell’Inps). In questo quadro dell’impoverimento complessivo del lavoro, occorre tenere sempre presente la piaga dei morti sul lavoro che ormai registra statistiche inaccettabili, ovvero 1.221 morti nel 2021 e oltre 92 deceduti dall’inizio del 2022 secondo l’Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro (Inail). La morte tragica di Lorenzo Parelli (18 anni) in un’azienda di Udine - che ha suscitato la reazione degli studenti che hanno manifestato in diverse città italiane subendo repressioni con manganellate dalle forze dell’ordine - certifica l’inammissibilità di quanto sta accadendo.

Dinanzi a questa dualità di numeri (che da un lato registra un Pil in crescita e dall’altro una decrescita delle condizioni socio-lavorative dal punto di vista qualitativo), serve una politica capace di calarsi nella povertà e toccare la miseria, come invita papa Francesco, al fine di ridare speranza all’Italia e risollevare le persone afflitte dal boom di crescita dell’impoverimento socio-lavorativo. Questo deve essere ovviamente compito principale e prioritario delle istituzioni, come ha ricordato il presidente Sergio Mattarella durante il giuramento dinanzi alle Camere riunite.