Dentro e fuori
Le psicologie parallele di Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky
Per il russo, nostalgico dell’impero, una sconfitta sarebbe un’umiliazione insopportabile. Per l’ucraino già resistere è un’impresa straordinaria
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Non sono certo il solo, sono uno dei tanti semplici cittadini a vedere in questi giorni la guerra in Ucraina come il più grave conflitto in Europa dal 1945. È forse avventato, di un pessimismo precipitoso, meglio primario, disegnare l’evoluzione di un avvenimento in corso. Anche perché non è in gioco soltanto la sopravvivenza dell’aggredito. I pericoli, le incognite incalzano anche l’aggressore, nonostante la sua faticosa superiorità del momento. I conflitti armati non si concludono sempre secondo i pronostici dell’inizio, basati su realtà e azzardo, su improvvisazioni e convinzioni. Il Financial Times ha elencato le possibili soluzioni. Le ha citate quasi tutte: una vittoria russa totale; la destituzione (che immaginiamo tragica) del coraggioso Zelensky; una vittoria russa parziale con la spartizione dell’Ucraina, una sotto il controllo russo e una con Zelensky; il ritiro russo con la disgrazia politica di Vladimir Putin; una guerra tra la Nato e la Russia. Quest’ultima è una soluzione estrema che ci riporterebbe agli anni 40 del secolo scorso.
Sono soluzioni che prospettano il quasi intero arco del possibile e che ci lasciano ovviamente nella totale incertezza. Analizzare la situazione dal punto di vista militare e diplomatico per il momento non porta a conclusioni del tutto convincenti. Meglio affidarsi a un panorama in cui la psicologia ci aiuta a decifrare gli avvenimenti che hanno portato i protagonisti del dramma attuale a confrontarsi.
Vladimir Putin ha oggi 70 anni, Volodymyr Zelensky ne ha 44. Putin aveva 37 anni nel 1989, quando crollò il Muro di Berlino, ed era tenente colonnello del Kgb di stanza a Dresda. Zelensky era un adolescente di 11 anni. E ne aveva due di più quando naufragò, si dissolse, l’Unione Sovietica. Vladimir Putin l’ha dunque conosciuta e servita. Volodymyr Zelensky ne ha sentito parlare.
Il 5 dicembre, un mese dopo il crollo del Muro, Vladimir Putin è ancora a Dresda, mentre si moltiplicano le manifestazioni nella Germania orientale sempre meno comunista. Dalla sede del Kgb, che è accanto a quella della Stasi, Putin vede la folla che dopo avere incendiato l’edificio dell’agenzia sorella tedesca si dirige verso quello in cui lui si trova. E allora senza esitare affronta con la rivoltella spianata i dimostranti e riesce a disperderli. All’agente del Kgb, risoluto e ambizioso, non è certo sfuggito il declino dell’impero comunista. Se ne è reso conto nella Germania orientale, e ne vede i segni a Mosca dove lo coinvolge la vita politica.
Boris Eltsin, primo presidente della Russia post-comunista, lo aiuta nell’affrettare la carriera. Putin non appare un orfano triste del comunismo, se mai risulta a tratti il contrario, ma è nostalgico dell’impero russo che si decompone, che perde pezzi, repubbliche in Asia e in Europa. E prestigio nel mondo. Putin sogna una Russia “zarista”. Nell’esercizio del potere, in particolare quando diventa presidente o è capo del governo, non risparmia gli oppositori che colpisce con le epurazioni, l’emarginazione, e che talvolta fa anche uccidere. Mentre favorisce i sudditi miliardari, gli oligarchi, creatisi con la fine del sistema comunista. Ha nostalgia dell’impero e fretta di ricomporlo. Come a Dresda nell’89 ha spianato la rivoltella contro i manifestanti che volevano bruciare la sede del Kgb, adesso spiana il suo esercito contro l’Ucraina, indipendente dal crollo comunista, e tentata dall’Unione europea e dall’ingresso nella Nato. Il presidente Zelensky ha espresso questa volontà più volte, pensando di poterla realizzare un giorno.
Lui non ha la nostalgia dell’impero. E non pensava, quando si pronunciava in favore di un’adesione alla Nato, di dare col tempo il pretesto per un’invasione a Putin, con il quale era già ai ferri corti. Zelensky parla il russo come l’ucraino, forse meglio. Quando era un attore recitava nelle due lingue. Ma il cuore è ucraino. Egli ha un personale vantaggio sul suo avversario di Mosca. La sua evidente inferiorità militare non implica un’umiliazione. La resistenza opposta all’esercito russo, che ha tardato e faticato a conquistare le città dopo assedi troppo lunghi per la disparità di forze, così come la lentezza dei mezzi corazzati russi, fanno dubitare molti esperti dell’efficienza delle forze armate di Putin. La tenace resistenza dell’esercito e delle milizie ucraine suscita invece ammirazione anche se non esclude la perdita di città e villaggi. Per Putin una ritirata sarebbe un’umiliazione difficilmente sopportabile per un presidente di una grande potenza. Avevo premesso che questo articolo si sarebbe affidato alla psicologia, alleata dell’immaginazione.