Il subcontinente dell’odierna crescita ha un passato di miseria impensabile. Il ricordo del primo viaggio e l’incontro con Nehru

Era fine marzo, la primavera del 1959, ed ero appena atterrato a Bombay. Era il mio primo viaggio in India. Ero diretto a Nuova Delhi per quello che a tanti anni di distanza considero ancora il più importante incontro politico della mia lunga vita di giornalista. Mi riferisco all’intervista con Jawaharlal Nehru, il primo ministro indiano e uno dei più grandi uomini di Stato del suo secolo, oltre che un raffinato intellettuale alla testa di uno dei paesi tra i più poveri e più popolati della terra. Un settimo dell’umanità.

 

L’imminente impegnativo appuntamento nella Lok Sabha, la Camera bassa del Parlamento, con uno degli uomini che più ammiravo, non mi distolse dal desiderio di visitare la metropoli del subcontinente, nell’attesa di raggiungere la capitale. Bombay era la città più ricca del paese ed esibiva scorci urbani da centro industriale e finanziario. Ma la mia attenzione, benché assuefatta all’Asia di quell’epoca, fu attratta in un quartiere non tanto popolare, visti gli edifici massicci di banche e di grandi magazzini, dai corpi sdraiati sui marciapiedi. Corpi immobili, apparentemente senza più vita, che uomini raccoglievano da terra e posavano sui cassoni dei camion al loro seguito. Pensai che si trattasse di cadaveri. Alcuni lo erano, mi spiegò il mio accompagnatore indiano, ma molti erano ammalati o semplicemente sfiniti. Affamati? La risposta fu semplice: forse. Il ricordo di quelle immagini mi accompagnò fin nell’ufficio di Nehru, e mi aiutò a valutare il drammatico peso che gravava sulle spalle, sulla mente, di quel gentiluomo raffinato e intellettuale che incontravo a Nuova Delhi.

 

Numerose altre volte sono ritornato in India, per seguire conflitti o avvenimenti politici o umani di rilievo (guerre col Pakistan, per il Bangladesh; la morte di Nehru; l’uccisione della figlia Indira; le crisi di frontiera con la Cina; il comunismo del Kerala) che a volte mi hanno fatto attraversare in treno l’intero subcontinente. Era come viaggiare su delle diligenze. Le prime immagini di Bombay finirono tra tante altre, che lasciarono anch’esse dei segni senza mai sminuire l’interesse appassionato per quel grande paese, porzione importante dell’umanità. E a volte dei nostri pensieri.

 

Negli ultimi anni, dopo alti e bassi, l’India ha vissuto, subìto, tante cattive notizie e sofferenze. La pandemia ha ucciso milioni di persone. Le statistiche stentano a essere precise poiché spesso le malattie micidiali non sono classificabili. Causati dai lockdown, si sono verificati spostamenti di popolazioni all’interno del paese, dalle città industriali ai villaggi, simili a quelli imponenti del 1947, l’anno della “partition” (secessione) dal Pakistan. La crisi economica ha accentuato lo sciovinismo quasi permanente del Bjp (Bharatiya Janata Party), il partito induista al potere dal 2014 guidato dal primo ministro Narendra Modi. Quest’ultimo, abile e autoritario, governa da posizioni intransigenti. Gli induisti rappresentano il 79 per cento della popolazione, i musulmani il 15 per cento. Modi non è un laico, come era invece più di mezzo secolo fa il Pandit Nehru, ed esprime la sua appartenenza religiosa anche nell’azione politica. Nell’ampia maggioranza induista non mancano tuttavia i laici.

 

Negli ultimi dieci anni l’India non ha conosciuto la crescita economica di paesi come la Cina, o quella di dimensioni inferiori del Viet Nam. Stagnazione e lentezza sono state all’origine di grandi tensioni interne. La minoranza musulmana (forte di duecento milioni di persone) ne ha fatto le spese ma ha difeso le sue posizioni. Adesso gli orizzonti indiani si stanno tuttavia dischiudendo. Sono stati creati grandi gruppi industriali. In tutti settori si moltiplicano le iniziative. I posti di lavoro sono aumentati, riducendo drasticamente il numero dei senza lavoro. Negli ultimi tre anni il digitale ha pagato duecento miliardi di dollari a novecentocinquanta milioni di persone. Sarebbe esagerato paragonare la situazione indiana a quelle della Cina e della Corea del Sud dove il boom di varie attività industriali ha spopolato le campagne. Ma le previsioni danno all’India un posto privilegiato nei prossimi anni. Se l’autocrazia, rappresentata dal governo Modi, non guasterà l’atmosfera, il paese dovrebbe conoscere la crescita tanto a lungo attesa.