La campagna elettorale ignora le questioni cruciali, come trovare i fondi per le riforme necessarie o proteggere i più deboli da inflazione e recessione. Perché in fondo tutti sperano nel soccorso dei tecnici o dei governi di tutti

Massimo Cacciari con la rubrica Parole nel vuoto sarà sull’Espresso ogni due settimane alternandosi con Dentro e fuori di Bernardo Valli

 

Molti si chiederanno nel corso di questa incredibile competizione elettorale come mai, se corriamo pericoli così esiziali, coloro che ce ne avvertono ininterrottamente non abbiano dato vita, come sarebbe stato dovere, a forti coalizioni. Le risposte, temo, non possono essere che le seguenti: o si tratta di gente irresponsabile, oppure l’allarme per l’abisso in cui precipiteremmo se il “nemico” vincesse è pura propaganda, oppure ancora non si disponeva di alcun programma, di alcuna idea su cui fondare l’indispensabile unità delle forze anti-populiste, anti-sovraniste, ecc.ecc.

 

Rimaneva l’anti-, come fu, per tanti versi, anche nei lunghi anni del confronto con Berlusconi. Ancor più paradossale suona il fatto che, da un lato, si ricorra alla retorica degli “anni decisivi”, e, dall’altro, ci si affanni ad apparire e rappresentare “i più moderati”. Se l’epoca impone decisioni - il termine significa, letteralmente, “dare un taglio” - è evidente che il moderatismo non funziona e occorre piuttosto preparare “salti” politici e istituzionali.

 

Se l’ora presente è “decisiva” si è alla sua altezza non certo ricorrendo a vie di mezzo capaci al più di tenere in piedi questo o quel pezzo dell’edificio. Se la crisi che attraversiamo è di sistema, non sarà “moderando” i programmi di riforma che essa verrà affrontata. E tantomeno con governi di “salute pubblica”, deresponsabilizzanti per loro natura. Sotto traccia, nell’infuriare di accuse demonizzanti da una parte e dall’altra, è questa intenzione che spesso invece balena, una sorta di inconfessabile nostalgia per governi di tutti e di nessuno, come gli unici in grado di evitare che una parte sola sia costretta ad assumere l’onere e l’onore di governare una situazione già drammatica e destinata a diventarlo ancora di più.

 

I nodi che oggi le nostre forze (sic) politiche sarebbero chiamate a decidere risultano molto semplici da definire. Il problema ha alcune variabili note e insindacabili: esse riguardano i vincoli posti da ordinamenti e accordi comunitari per sostenere i nostri conti. La Meloni potrebbe ignorarli altrettanto poco di Rifondazione comunista, a meno di cadere in preda a un irrefrenabile cupio dissolvi . Le discussioni intorno all’ovvio sono risibili depistaggi dell’opinione pubblica dal problema che tocca invece a noi, al governo italiano: con quali misure fiscali, con quali politiche di spesa e distribuzione del reddito si intende far fronte al vertiginoso aumento del debito? Come combattere la crescita delle disuguaglianze? Come non continuare a scaricare sul futuro dei giovani il peso della crisi? Qui occorre dare i numeri.

 

Riforme senza spesa non esistono. Esistono riforme che si devono finanziare, o con riduzioni di spesa per altri settori o con politiche fiscali adeguate. O, meglio, attraverso entrambe le vie. Dove i nostri eroi intendono tagliare (per decine di miliardi, se la cosa ha un senso)? E quali interventi in materia fiscale, così da poter “distribuire” a favore della scuola, del diritto allo studio, della promozione di giovane imprenditoria? Sulle rendite da capitale? Sul patrimonio immobiliare? Sulle tasse di successione? Si ritiene che una patrimoniale sia pura bestemmia, oppure si pensa che nella drammaticità della crisi essa sia, come in altri momenti della nostra storia, praticabile? Che quegli interventi, e tutti gli altri assolutamente necessari per difendere i ceti più deboli da inflazione e recessione, si possano sostenere con aiuti comunitari o con l’aumento ulteriore del debito, è criminale anche solo lasciarlo intendere.

 

Di questo si dovrebbe discutere in una seria campagna elettorale; queste le decisioni che davvero starebbero a noi. Ma “i moderati” si guardano bene dall’affrontarle. Noi stiamo saldi nel mezzo, prudenti, in attesa che “i tecnici” ci soccorrano, chiamati dal Presidente della Repubblica, nel mezzo anche lui, da decenni ormai, tra una forma di parlamentarismo che non funziona più e un presidenzialismo occasionale e surrettizio, che non potrà mai funzionare.