Dentro e fuori
Thomas Mann e la famiglia difficile
Nei miei incontri con il figlio Golo emergevano ricordi irrinunciabili e insopportabili. Ora un libro di Tóibín racconta la vita del grande scrittore
Tutto comincia a Lubecca, nello Schleswig-Holstein. Là nasce il futuro scrittore, nella famiglia Mann, da un padre negoziante e senatore, e da una madre nata in Brasile ed esule dall’infanzia, approdata sulle sponde nebbiose del Baltico. Questi sono i primi punti fermi, universalmente conosciuti nel mondo dei fedeli lettori di Thomas Mann, citati nell’appassionante libro “The Magician”, edizioni Viking, 2021 (atteso nella traduzione italiana nel prossimo gennaio, “Il mago”, pubblicato da Einaudi).
L’autore è l’irlandese Colm Tóibín, critico letterario e scrittore di fama, che con la libertà del romanziere e la serietà del critico ha scritto i diciotto capitoli che partono dalla Lubecca del Diciannovesimo secolo e arrivano alla Svizzera del Ventesimo. Colm Tóibín, che in un altro libro ha già affrontato parte della vita di Henry James, con Thomas Mann punta molto in alto. Ripercorre, ricostruisce la sua vita (1875-1955) facendo seguire il testo da un’estesa e solida bibliografia.
L’erudizione e l’immaginazione si sposano nelle pagine di “The Magician” offrendo una lettura che arriva sull’orlo della vita di Mann, agli anni consumati a Kilchberg, sul lago di Zurigo, in una villa bagnata da una moribonda luce alpina. È là che incontrai per la seconda volta, nel novembre 1988, il figlio Golo quando il padre era già morto da un pezzo, ma la sua presenza era ancora palpabile muovendo lo sguardo nelle stanze dove aveva scritto le ultime pagine, il saggio su Schiller e, in solitudine, aveva ripercorso col pensiero la lunga esistenza. Ricordo i dialoghi con Golo Mann. Dalle rievocazioni di Thomas Mann emergevano sentimenti contraddittori e comprensibili: un insieme di devozione e di insofferenza. Ricordi irrinunciabili e insopportabili. La tormentata nostalgia del padre e della famiglia gli faceva considerare una reliquia la fotografia presa il 6 giugno del 1925, quando nel tepore quasi estivo della Baviera i Mann si erano raccolti sui gradini dell’ingresso di casa per uno scatto riuscito male. Il volto di Thomas era scuro, quello di Katia, la moglie, era sfuocato. La faccia della figlia Erika era invece chiara, luminosa, e toglieva la luce alla sorella Monika, che diverrà moglie, in seguito, di un pescatore di Capri. Un altro figlio, Klaus, aveva la testa china, si nascondeva dietro lo zio Heinrich. Golo, adolescente, era alla sinistra del padre. Non ricordo se ci fosse anche Elisabeth, che allora aveva sette anni e che avrebbe poi sposato lo scrittore Giuseppe Antonio Borgese, molto più anziano di lei. La famiglia Mann era ancora felice. Quattro anni dopo Thomas avrebbe ricevuto il Premio Nobel. I tempi sono mutati presto.
Lui stesso omosessuale, Colm Tóibín, tratta con variabile delicatezza, evidenziandone le tracce nelle opere e nella vita, l’omosessualità di Thomas Mann. Essa è presente anche in altri membri della famiglia. Nella quale non mancano i suicidi. Attorno al genio avvengono sciagure e successi. Eccezionali qualità letterarie non distinguono soltanto Thomas, ma anche il fratello Heinrich e il figlio Klaus, ottimi scrittori. Dalle tragedie e dalle virtù di coloro che lo circondano, come dalle sue inclinazioni a lungo segrete, trae ispirazione “The Magician”. La famiglia Mann, secondo Tóibín, potrebbe essere i Buddenbrook. Lo stesso Mann sembra presente nel suo “La Morte a Venezia”, racconto in cui un autore cinquantenne di successo muore di passione per Tadzio, l’adolescente polacco incontrato sulla spiaggia del Lido.
Tóibín, ripercorre, arricchendola di particolari da romanziere, la vita di Mann. La quale diventa scomoda con l’avvento del nazismo, anche perché la moglie Katia ha origini ebraiche. Lo scrittore deve imparare come difendere la famiglia e le sue idee antifasciste, e proteggere il suo lavoro dai tormenti di quel maledetto decennio. Il segreto e la fuga ritmeranno la sua esistenza, incalzata dal nazismo e dall’antisemitismo. La sua opera è minacciata e lo è anche la sua vita e quella dell’intera famiglia. Ovunque si trovi, negli Stati Uniti per sfuggire a Hitler, o nell’Europa prima e dopo la guerra, lo scrittore ha sempre bisogno di uno studio solitario separato dai familiari dove fare riemergere i ricordi e riversarli, trasformati, nei romanzi. Ed è anche questo che Tóibín racconta.