Fuoriluogo
Il governo continua a posticipare senza ragioni la piattaforma online per referendum e leggi popolari
L'ingiustificato ritardo nell'attivare il sistema indica la volontà d'impedire ai cittadini di esercitare le loro prerogative. E una deriva autoritaria a cui dobbiamo opporci scendendo in piazza
Il ritardo nell’attivare la piattaforma digitale per firmare proposte di referendum e di leggi d’iniziativa popolare è uno scandalo che continua. Due anni di sospensione dell’esercizio di un diritto fondamentale sono intollerabili. Nel marzo scorso, il governo promise la soluzione entro pochi mesi, per agosto al più tardi. A maggio il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, rispondendo a un’interrogazione di Riccardo Magi, leader di +Europa, annunciò un «tavolo di lavoro» con una scadenza di dodici mesi. Una vera provocazione da parte di un sedicente garantista. Undici ong, tra cui l’Associazione Luca Coscioni e il movimento paneuropeo d’iniziativa popolare Eumans, reagirono immediatamente presentando una diffida al governo e preannunciando iniziative giudiziarie per il rispetto della legge (dl 31 maggio 2021, n. 77).
I tempi annunciati da Nordio sono sconcertanti e inaccettabili: non vi è alcuna ragione tecnica per il ritardo, dal momento che sono in funzione piattaforme private riconosciute e basterebbe copiare il sistema. Il dubbio, se non la certezza, è che il governo abbia voluto boicottare la possibilità di presentare referendum e leggi popolari entro il 30 settembre scorso, data che avrebbe permesso di votare in corrispondenza delle elezioni europee, rendendo così i cittadini pienamente protagonisti del voto della prossima primavera. Come sostiene Marco Cappato, impegnato contro la disinformazione di regime nelle supplettive per il seggio al Senato di Monza, la partecipazione vera, che si costruisce con gli strumenti della Costituzione, è osteggiata.
La questione è talmente eclatante nella sua gravità istituzionale e politica che ne è stato investito il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano. Il quale ha interpellato il capo del dipartimento Trasformazione digitale, Angelo Borrelli, e ha segnalato il termine orientativo di novembre per la messa in funzione della piattaforma. Pochi giorni fa il capo dipartimento ha indicato la fine dell’anno. Insomma, questa paradossale storia non è ancora conclusa.
Che fare? Non possiamo rimanere inerti, dobbiamo essere certi che il 2024 possa vedere protagoniste le associazioni impegnate sul terreno dei diritti civili e sociali. Questa vicenda è indicativa della crisi democratica. Il Parlamento è ridotto a camera di registrazione delle prevaricazioni dell’esecutivo col ricorso continuo e indiscriminato a decreti legge esaminati da una sola Camera (con la semplice ratifica dall’altra) e votati con la fiducia. Lo stato di diritto è nei fatti cancellato. C’è un modo per opporsi alla deriva autoritaria: dare la parola ai cittadini e alle cittadine su temi importanti e discriminanti di progresso civile.
La Società della Ragione ha pronte due proposte di legge per ricondurre la Corte costituzionale nei limiti dell’articolo 75 per il giudizio di ammissibilità dei referendum: impedendo sentenze «creative» e politiciste, come quella del febbraio 2022 che respinse i quesiti sulla cannabis e sull’eutanasia. Da questa settimana inizieranno i “venerdì della democrazia”: nel giorno di uscita de L’Espresso, cittadini e cittadine militanti presidieranno Palazzo Chigi per chiedere il rispetto della legge. La partita è decisiva, ognuno faccia quel che deve e accada quel che può.