I massacri del 7 ottobre potrebbero provocare l’annessione della Cisgiordania e l'allargamento del conflitto anche a Libano e Siria da parte di Netanyahu

Vorrei si riflettesse anche in Italia sull’ipotesi, peraltro avanzata anche da Paul Craig Roberts, ex vicesegretario all’Economia di Ronald Reagan, per cui i fatti del 7 ottobre non potrebbero essere considerati una inspiegabile débâcle di Benjamin Netanyahu e del Mossad. Piuttosto, essi costituirebbero un fulgido e complesso esempio di infiltrazione di Stato, un po’ come l’incendio del Reichstag, le bombe di Piazza Fontana negli anni della strategia della tensione, o secondo parecchie ricostruzioni, l’altra storica débâcle di servizi segreti mai davvero spiegata e per la quale nessuno ha pagato, quella dell’11 settembre. Ipotesi certo non dimostrabile, ma almeno plausibile quanto le “verità ufficiali”. Anche perché della dinamica concreta dei fatti del 7 ottobre nulla si sa.

 

Del resto, che Hamas sia stata almeno in parte una creatura israeliana, volta a delegittimare il fronte laico e di sinistra nell’Anp, non è un mistero; così come non lo è che l’Isis sia stata ben vicina alla Cia (gli spettacoli osceni dei prigionieri sgozzati toccano gli stessi tasti emotivi dei bambini israeliani decapitati, orrore spettacolare capace di effetti devastanti); né, grazie a WikiLeaks, è più un segreto che le armi sottratte a Gheddafi in Libia siano state trasferite ai fondamentalisti di Al Qaeda, proprio a cura della stessa Cia, (coperta della finta ambasciata Us di Bengasi) con la piena consapevolezza di Hillary Clinton. Il tentativo era di distruggere l’ultimo esponente del Baath scampato alle attenzioni occidentali, ossia Bashar al-Assad (che deve la pelle a Vladimir Putin).

 

Aver smascherato quest’ultimo verminaio costituisce la ragione della efferata vendetta contro Julian Assange. Gli esempi possono continuare. È in ogni caso certo che qualunque atto terroristico di portata significativa rafforza il potere contro cui si rivolge, come mostrato da Gianfranco Sanguinetti nel suo noto “Del terrorismo e dello Stato”, scritto nel 1978 in occasione del sequestro Moro, ricco di esempi storici anche antichi. Sappiamo inoltre, almeno fin da quando Victor Serge fu autorizzato da Lenin ad aprire gli archivi dell’Ochrana, antenata dei servizi segreti di tutto il mondo, voluta dallo zar Alessandro II, che l’infiltrazione costituisce la migliore strategia per il potere e che conviene infiltrare quanto già esiste piuttosto che fondare nuovi soggetti (il manualetto di Serge pubblicato a Parigi nel 1925 è stato tradotto in italiano proprio quest’anno).

 

Chi è stato a Gaza sa bene che è estremamente improbabile riuscire a importare strutture e armamenti imponenti come quelli che sono stati usati da Hamas senza disattenzione complice da parte dei gatekeepers. Altrettanto difficile è spiegare la fuoriuscita simultanea via terra, aria e mare di centinaia di miliziani fanatici e armati fino ai denti, lasciati liberi di scorrazzare per ore. Conviene allora almeno riflettere sul cui prodest.

 

Proprio come il potere italiano nel 1969, anche Netanyahu era negli ultimi mesi oggetto di contestazioni durissime per il suo tentativo di fascistizzare le istituzioni mettendo la mordacchia alla Corte Suprema. Proprio come l’attacco dell’11 settembre ha reso possibile l’istituzione del regime statunitense della sorveglianza (Patriot Acts) e il completamento del disegno neocon in Afghanistan e Iraq, altrettanto il 7 ottobre consentirà a Netanyahu (con un governo di salvezza nazionale) di: completare l’annessione illegale della West Bank (oggetto di contestazione locale e internazionale); distruggere definitivamente Gaza e con essa la viabilità della “two states solution”; allargare il conflitto al Libano meridionale, annettendone finalmente le ambite sorgenti idriche; forse estendere a Iran e Siria l’offensiva, rafforzando il proprio legame con l’Arabia Saudita (molto ben visto dal dipartimento di Stato che soffre l’iniziativa russa di avvicinare Arabia Saudita e Iran), offrendo così ai dem americani la possibilità di rifarsi dello smacco loro inflitto da Putin, proprio mentre le cose non sembrano mettersi benissimo in Ucraina. Più in generale, il fronte occidentale incassa il rafforzamento dello stereotipo: Medio Oriente = fondamentalismo islamico, strategia comunicativa da sempre utilizzata dagli Stati Uniti con il loro lavorio di supporto ai Fratelli Musulmani fin dai tempi di Gamal Nasser.

 

Del resto, infiltrare e corrompere la leadership di Hamas è un gioco da ragazzi (come lo era stato con diversi uomini forti dell’Olp) come lo è stato far esplodere la pentola di Gaza, dando a tanti giovani miliziani cresciuti in cattività l’occasione per sfogare il loro odio. Giulio Andreotti una volta disse: «Se fossi cresciuto in un campo profughi in Libano probabilmente sarei diventato un terrorista anch’io». Certo, a distanza di qualche settimana la spropositata violenza della reazione lascia annichiliti.