Il divario crescente tra licei e altri istituti, specialmente professionali, sta delineando un'istruzione di serie A e una di serie B. Ma così s'impoveriscono le conoscenze richieste dalla nostra società. Quindi, se abbiamo elementari e medie per tutti, perché non incentrare su alcune materie condivise anche gli insegnamenti successivi?

Lasciato il Senato, ho iniziato a dirigere il Programma per l’Educazione nelle Scienze economiche e sociali offerto dall’Università Cattolica alle scuole superiori di tutt’Italia. Il programma consiste in visite nelle scuole di una quarantina di personalità che hanno avuto una carriera importante nel campo dell’economia, del diritto e della comunicazione. Ci sono, per esempio, cinque ex presidenti del Consiglio, quasi tutti i ministri dell’Economia degli ultimi vent’anni, ministri della Giustizia, esperti di diritto e giornalisti di altissimo livello. Chi visita le scuole parla agli studenti per una mezz’ora e poi si apre un dialogo con gli studenti stessi per un’altra ora circa. Il programma, che non comporta costi per le scuole (i costi di trasporto sono coperti da una donazione di Arca Fondi Sgr), non solo consente una disseminazione di informazioni e idee, ma testimonia l’importanza che i partecipanti attribuiscono alla nostra scuola. È un modo per avvicinare queste personalità a insegnanti e studenti.

 

Questa lunga introduzione, oltre che pubblicizzare l’esistenza di questo programma (anche se ormai abbiamo ricevuto più domande dalle scuole rispetto alle nostre iniziali aspettative; vedremo che si può fare in proposito), serve anche a spiegare perché nelle ultime settimane abbia visitato molte scuole superiori in Italia. Queste visite mi hanno ispirato una osservazione e una proposta provocatoria.

 

L’osservazione: temo si stia approfondendo il divario tra scuole che, a torto o a ragione, sono considerate più attraenti per chi proviene da famiglie a redditi più alti e gradi di istruzione più elevata (diciamo i “licei”) e altre scuole (chiamiamole gli “istituti”). In crisi sono, in particolare, gli istituti professionali i cui iscritti calano da anni. Ma se le materie che vengono insegnate negli istituti sono ancora considerate valide (e certamente lo sono) non si sta andando verso un impoverimento delle conoscenze richieste dalle nostre imprese, dalla nostra società? E la distinzione attualmente esistente tra diversi tipi di scuole, col rischio di creare una percezione di differenze qualitative tra scuole di serie A e di B, è davvero necessaria?

 

La proposta: abbiamo una scuola elementare e media per tutti, perché non avere una scuola superiore per tutti? Certo, crescendo, occorre rendere più specializzato il nostro apprendimento. Ma avere un’unica scuola superiore non vuol dire che il curriculum debba essere identico per tutti. Ci sarebbero materie condivise (italiano, storia, inglese e così via) e poi lo studente potrebbe scegliere tra diversi indirizzi. Anche all’interno di questi indirizzi, però, si potrebbe consentire l’inserimento di materie facoltative.

 

La cosa dovrebbe essere studiata meglio (per questo parlo di proposta provocatoria), ma l’idea principale è quella di combattere la tendenza in corso ad avere scuole considerate di serie A e di serie B, tendenza che vedo come un ostacolo al buon funzionamento dell’ascensore sociale, al rendere irrilevante il luogo e la famiglia in cui uno nasce, al premio al merito, all’offrire a ognuno una possibilità nella vita, in base alle proprie capacità. Non so se quanto propongo sia fattibile. Ma, almeno, occorre evitare nel modo più assoluto riforme che accentuino l’attuale crescente differenza tra licei e scuole superiori di altro tipo.