La tela si trova negli Usa, non visibile: bisogna provare ad acquistarla o ad averla in prestito

Giuseppe Mazzini morì il 10 marzo del 1872 a Pisa, in casa Nathan Rosselli, clandestino sotto il falso nome di George Brown. Esule in Patria, si disse giustamente. Una vita trascorsa fuori dall’Italia, soprattutto a Londra, caratterizzata da un’incessante attività politica e culturale, Pensiero e azione, per la liberazione dell’Italia e la costruzione della Repubblica. La morte del rivoluzionario, animatore della Repubblica Romana del 1849, con Garibaldi, Pisacane e Mameli – la cui Costituzione nei valori e nei principi fu alla base del testo della Repubblica italiana di cento anni dopo – suscitò un’emozione immensa, forse inaspettata.

 

L’immagine del corpo di Mazzini morente si impresse nella memoria collettiva grazie a un dipinto di Silvestro Lega, un pittore della scuola dei macchiaioli. Ciò che colpì nel ritratto fu anche il drappo a quadri che avvolgeva Mazzini, lo stesso che aveva coperto tre anni prima Carlo Cattaneo, il pensatore repubblicano e federalista che veniva considerato l’avversario del teorico dell’Unità. Grazie a uno scialle, il filo rosso del pensiero democratico si riuniva simbolicamente.

 

Quale è stato il destino della tela? Pare assai travagliato. Nel 1959 fu messa all’asta da Christie’s e successivamente venne in possesso del Museo della Scuola di design di Providence, capitale del Rhode Island. Sicuramente per molti anni è stata esposta.

 

Ora non più. La giustificazione che viene data dalla direzione è che altre opere vengono ritenute più interessanti e che il quadro di Lega è in storage, cioè in un deposito e che non si può vederlo neppure in quella collocazione per mancanza di personale.

 

Non si può mettere in discussione la scelta artistica del Museo, ma per l’Italia che il ritratto di Mazzini morente sia in una cantina rappresenta una ferita inaccettabile. Mi ero chiesto se qualche parlamentare potesse sollecitare il governo su un possibile intervento.

 

La senatrice Cecilia D’Elia il 19 aprile presentò una interrogazione. Il ministro Gennaro Sangiuliano l’8 settembre rispose di aver dato incarico ai suoi uffici di verificare tramite le rappresentanze diplomatiche la disponibilità del museo privato americano a prestare temporaneamente il quadro o possibilmente a venderlo al ministero della Cultura e concludeva con l’auspicio che il quadro «possa tornare in Italia, in vista delle celebrazioni del bicentenario della nascita di Giuseppe Mazzini nel 2025». Un ulteriore aggiornamento è giunto il 28 settembre con la notizia che l’Ambasciata italiana a Washington ha incontrato il Museo di Providence che pare non disponibile a vendere il quadro, ma a darlo in prestito.

 

Che fare? Penso che occorra insistere per riavere la tela che potrebbe trovare una prima collocazione nella Sala del Senato dove è affissa la poesia di Giosuè Carducci dedicata a Mazzini che si conclude così: «Dopo quarant’anni di esilio passa libero per terra italiana… Quanto debito per l’avvenire». Non si tratta di una nostalgia e di una rivendicazione retorica, ma di ritrovare le radici. Ugo La Malfa scrisse efficacemente che: «Ancora una volta, dopo Mazzini, gli azionisti cercarono di risolvere, con una visione moderna e audace, i problemi insoluti della società italiana, salvando le ragioni finali di una democrazia». Bisogna non mollare. Il governo non demorda.