La premier, con le sue ambiguità, incarna l'ultima tendenza politica: quella del trasformismo mescolato al nuovismo. Come lei, Giuseppe Conte e Matteo Salvini. E ancora prima Silvio Berlusconi. Sono i neopopulisti in cerca di voti

L’Italia è un laboratorio politico di lunghissimo corso. La polarizzazione ante litteram (dai patrizi contro i plebei della storia romana ai guelfi vs. i ghibellini di quella medievale), il pensiero di Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini, le milizie armate affiancanti i partiti (su tutti il Pnf), varie formule di populismo, il paradigma dei tecnici a presiedere i governi. Come pure il trasformismo (o il gattopardismo) che dall’Italia liberale si proietta verso quella postmoderna dei neopopulismi. Dove assume un altro volto (o, per meglio dire, svariati altri): il «camaleontismo 2.0».

 

Di recente, Politico ha inserito Giorgia Meloni al vertice della sua annuale classifica delle personalità più influenti in Europa, un riconoscimento accolto dagli squilli di fanfara della capillare macchina comunicativa di Fratelli d’Italia. Tra le varie etichette spese per la presidente del Consiglio italiana, accanto alla definizione di «fan sfegatata del Signore degli anelli», l’autorevole sito specializzato nella politica delle istituzioni Ue ha ricordato, senza troppi giri di parole, la sua provenienza da «un partito post-fascista» e i «brividi lungo la schiena dei centristi di tutto il continente» dopo l’ascesa a Palazzo Chigi, anche se da qualche tempo viene corteggiata da buona parte del Ppe.

 

Soprattutto, Politico l’ha definita un «camaleonte» e pertanto – a dispetto dei toni trionfalistici con cui il suo cerchio magico e la comunicazione ufficiale hanno cercato di far passare l’articolo – ha fotografato con precisione l’ambiguità e l’ambivalenza, per l’appunto camaleontiche, della premier, che non può (e non vuole) strappare davvero con una certa cultura politica della destra post-missina e taluni ambienti e bacini elettorali. Tanto più che il clima di campagna elettorale permanente, reso ancora più marcato dall’appuntamento delle Europee del 2024, esaspera la competizione tra FdI e la versione populsovranista della Lega salviniana.

 

Oggi è il momento di Meloni, ma lei si ritrova in «buona (e varia) compagnia». A partire da Giuseppe Conte, il «CamaleConte», ex premier e abile manovratore che sta riuscendo a dettare l’agenda del sinistracentro, con il suo peculiare mix di trasformismo, estremismo ed equilibrismo (e pure un pizzico, che lo contraddistingue, di indecisionismo). Per non dire di Matteo Salvini che, dai lontani esordi nei cosiddetti «comunisti padani» della Lega Nord, ha fatto in tempo a cambiare gattopardescamente svariate parti in commedia.

 

E ancora prima, in maniera insuperabile, camaleonte fu Silvio Berlusconi, il «presidente-operaio» e «presidente-milionario», e parecchio altro, con il suo storytelling per tutte le stagioni e per (quasi) tutti gli elettorati, non volendo tralasciarne nessuno per quanto potesse rivelarsi difficile o stridente rispetto ai suoi programmi.

 

A dispetto dei proclami di coerenza che ostentano di fronte al loro «popolo», i populisti sono strutturalmente (e strumentalmente) flessibili, pronti a «farsi concavi e convessi». Si tratta, appunto, del camaleontismo come volto del nuovismo postmoderno: l’elettore va sempre più alla ricerca di qualcosa di nuovo (in maniera generica, come discontinuità rispetto al presente di insoddisfazione) e i neopopulismi cambiano repentinamente faccia adattandosi. E chi più ne ha più ne metta (di mimetismi).