L’elezione diretta del presidente del Consiglio serve a consolidare un Capo svincolato da regole e con potere assoluto. Uno schiaffo al Quirinale. Mentre il partito con più voti alle elezioni, anche se minoranza, raddoppierà i seggi. Così i cittadini non conteranno definitivamente più nulla

La proposta del cosiddetto premierato presentata dal governo si lega strettamente alle radici dell’instaurazione del fascismo come regime. Proprio nel novembre di cento anni fa veniva approvata la legge elettorale Acerbo che prevedeva i due terzi dei seggi per il partito che ottenesse il 25 per cento dei voti. La commissione che elaborò il progetto vide coinvolti anche i rappresentanti delle opposizioni che dettero prova di insipienza macroscopica e di assoluta incapacità di comprendere la rottura che rappresentava il fascismo di Mussolini. Le elezioni del 1924 furono caratterizzate da brogli e violenze specialmente al Sud; al Nord le sinistre prevalsero e addirittura a Padova fu eletto Antonio Gramsci. La denuncia della illegittimità dei risultati elettorali costò la vita a Giacomo Matteotti il 10 giugno 1924.

 

La lettura del testo che cambia la Costituzione è così mediocre concettualmente che provoca sentimenti contraddittori, di commiserazione e di preoccupazione. Di fronte all’arroganza e alla protervia di Meloni, è davvero desolante la disponibilità di frange della cosiddetta opposizione e di pseudo intellettuali e costituzionalisti a un confronto nel merito. Gli sciagurati non si rendono conto che significherebbe dare il proprio consenso al perpetuarsi proprio di ciò che si dovrebbe combattere.

 

La prima cosa da valutare è il motivo vero di una idea stravagante che contrasta con la sicumera con cui viene esibita la granitica compattezza della maggioranza e la durata del governo per cinque anni e per i prossimi cinque. Bisogna avere consapevolezza della volontà di cogliere il momento per trasformare un successo elettorale, creato da una legge elettorale viziata da incostituzionalità come le due precedenti, in un regime autocratico.

 

L’elezione diretta del premier serve solo a consolidare la presenza di un Capo che, proprio perché senza poteri reali e costituzionali, sarà svincolato da regole e quindi capace di un potere assoluto. Se ci si vuole divertire approfondendo la proposta si può tranquillamente constatare che l’unica previsione chiara è l’eliminazione della nomina di nuovi senatori a vita (non è prevista l’eliminazione fisica degli esistenti). Il costo del referendum è comparabile con questo risibile risultato? L’obiettivo è uno schiaffo al presidente della Repubblica e l’affermazione di chi comanderà effettivamente.

 

Il nocciolo duro della proposta è la contestuale elezione di Camera e Senato: il primo partito o la prima coalizione otterrà il 55% dei seggi. Non è da escludere che Fratelli d’Italia per ingordigia voglia tentare il colpo di mano, costringendo gli alleati a dividersi il 45% con l’opposizione. Non è prevista una soglia minima per il premio di maggioranza, quindi una minoranza potrebbe raddoppiare i seggi. Altro che legge truffa, siamo al colpo di Stato.

 

Meloni in un eccesso di propaganda urla che questa è la madre di tutte le riforme. Dal suo punto di vista ha ragione. La verità è che i cittadini, che già contano poco, non conteranno più nulla e il Parlamento sarà davvero ridotto a un’aula sorda e grigia. La vera battaglia è rendere il popolo sovrano approvando una legge elettorale che misuri il consenso reale. Occorre alzare la bandiera dell’intransigenza di Piero Gobetti in un tempo di guerra. È in gioco la democrazia.