I centri di permanenza per il rimpatrio sono luoghi di abusi e violenza. Dove si sconta una pena amministrativa per il proprio status di migranti. Ma nessun uomo e nessuna donna possono essere considerati illegali nella loro essenza

Sul Web da un po’ di tempo gira un meme che mi fa sempre molto ridere: inscena la conversazione tra una scimmia e un uomo in cui quest’ultimo deride la scimmia dicendole che è una creatura stupida. La scimmia, dal canto suo, risponde: «Sei l’unico essere vivente che paga per abitare sulla Terra», e così conclude. In realtà, tantissime creature pagano con la vita il prezzo di essere nate nel momento e nel posto sbagliato. La differenza è che gli esseri umani, di solito, pagano anche l’affitto.

 

Sono varie, e spesso teologiche, le discussioni che cercano di giustificare perché esiste chi nasce sotto una buona stella e chi invece in veri e propri inferni terreni. La democrazia, o comunque un sistema giusto, deve riuscire a spostare le stelle, a de-sistematizzare la nuvola di Fantozzi: non solo «il più forte» deve poter sopravvivere, ma tutti coloro che spuntano su questa Terra. De-sistematizzare significa dunque non rendere sistemiche le diseguaglianze e le ingiustizie che ci portiamo dietro da quando nasciamo; al contrario si richiede moralmente di creare una realtà che fornisca gli strumenti per emanciparsi, che garantisca una vita dignitosa, in ogni caso.

 

Uno degli slogan, se non il principale, dei movimenti contro i confini mortiferi ed invalicabili della Fortezza Europa è: «Nessuno è illegale». Un’affermazione che esplicita che un essere umano può compiere azioni illegali, ma non può in nessun modo essere illegale nella sua essenza, perché l’intrinseca dignità del vivere abita un regno superiore a quello del diritto, nazionale o internazionale che sia.

 

Per comprendere le recenti rivolte nel Cpr (Centro di permanenza per il rimpatrio) di Torino, bisogna capire cosa rappresentano questi luoghi e come rinforzano delle diseguaglianze di un sistema globale di sfruttamento e marginalizzazione dei corpi non-bianchi. In Italia i Cpr esistono in maniera informale dal 1995, a seguito di un decreto che non è mai stato convertito in legge; la pratica è stata poi normalizzata nel corso degli anni successivi.

 

La durata massima di detenzione era fissata inizialmente a 30 giorni, per poi aumentare progressivamente. Con l’entrata in vigore nel 2002 della legge Bossi-Fini, il periodo è stato esteso a 60 giorni. Con il decreto legge 89/2011 poi è arrivato fino a 18 mesi. Dopo una riduzione a 3 mesi stabilita dalla legge europea 2013 bis, il periodo è stato poi nuovamente esteso fino a 180 giorni, con l’entrata in vigore del decreto sicurezza nel 2018. Mentre il decreto 130/2020, voluto dalla ministra dell’interno Lamorgese, ha riportato il periodo di detenzione a 90 giorni, con la possibilità di estenderlo fino ad un massimo di 120.

 

I Cpr sono delle galere dove si sconta una pena amministrativa per il proprio status giuridico, si paga senza aver commesso un delitto; in questi luoghi non vige la legge ma solo una prassi arbitraria. Sono in realtà non-luoghi, buchi neri di tortura, violenza e abusi, veri e propri lager, peraltro totalmente inefficienti e fraudolenti per natura. Questi centri di detenzione per l’espulsione di persone migranti, dieci in totale sul territorio italiano, sistematizzano e istituzionalizzano un razzismo di Stato perché non giudicano lo straniero nella sua individualità ma solo in una presunta colpa collettiva. Nei Cpr l’ingiustizia si fa sistema e, intorno a questa violenza di Stato, tutto tace.