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L’Irpef andrebbe riformato così

di Alberto Bruschini   4 aprile 2023

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Dichiarazione dei redditi, aliquote, detrazioni. Ecco come sconfiggere evasione e tax gap

L’attuale sistema fiscale distingue il pagamento dell’Irpef sulla base della ritenuta alla fonte e della dichiarazione annuale. Il perimetro su cui concentrare la «rivoluzione tributaria» si restringe ai contribuenti che non pagano le imposte con la ritenuta alla fonte.

 

Nel 2022 le entrate fiscali sono ammontate a 544.528 milioni di euro. Quelle derivanti dall’Irpef a 269.078 miliardi di euro. L’81,9 per cento delle imposte è versato da dipendenti e pensionati, il 14,5 per cento dai contribuenti che pagano l’Irpef in base alla dichiarazione.

 

L’evasione fiscale, stimata in più di 100 miliardi di euro, da fenomeno di massa riguarda prevalentemente quelli che pagano l’imposta con la dichiarazione annuale.

 

Imparzialità e trasparenza vorrebbero che i contribuenti pagassero le imposte con un unico sistema, quello della dichiarazione. Ogni datore di lavoro verserebbe ai dipendenti lo stipendio lordo (escludendo le trattenute Inps e Inail, oltre a una ritenuta a titolo di acconto commisurata all’aliquota marginale), comunicando all’Amministrazione finanziaria la retribuzione corrisposta.

 

Questo sistema dovrebbe permettere di scaricare dalla denuncia dei redditi, oltre alle spese per i lavori edili complessi, anche quelle per la manutenzione ordinaria degli immobili e dei mobili registrati. Eviterebbe contrattazioni oblique per renderle meno onerose senza l’Iva al 22 per cento. Rimarrebbero detraibili gli interessi passivi per i mutui per la prima casa, le spese sanitarie, quelle per l’assistenza alle persone deboli (anziani e disabili) e quelle per l’istruzione. Le altre detrazioni sarebbero ridefinite sulla base della capacità contributiva e di un nuovo testo unico, di cui non si parla.

 

Il numero delle aliquote dovrebbe essere ampliato, aumentando il divario tra l’aliquota marginale minima e quella massima, da applicare a un numero maggiore delle classi di reddito imponibile.

 

Il cittadino saprebbe quanto paga di tasse all’erario. Il versamento delle imposte diventerebbe analogo al pagamento delle bollette (acqua, telefono, luce e gas).

 

Una riforma che privilegia l’imparzialità e la trasparenza rivoluzionerebbe i rapporti tra il fisco e i contribuenti. Verrebbero trattati nello stesso modo i redditi da lavoro dipendente e autonomo, nonché le rendite immobiliari e finanziarie, tassate con un’aliquota fissa rispettivamente del 20 per cento, del 26 per cento e del 12,5 per cento per i titoli di Stato. Per le rendite immobiliari incassate si prevede che l’Imu sia deducibile. La stessa cosa va prevista per le rendite finanziarie. I pagamenti tracciati diventerebbero la consuetudine. I cittadini pagherebbero le imposte sulla base della progressività, coniugata con la capacità contributiva.

 

L’attuazione della delega fiscale non prelude a una «rivoluzione fiscale», ma a una riforma che guarda con maggiore attenzione a chi paga le imposte in base alla dichiarazione annuale, riducendo il numero delle aliquote e diluendo la progressività in relazione alla capacità contributiva. Il «tax gap», molto verosimilmente, resterà invariato, intorno alla cifra di 100 miliardi di euro annui. Tanto rumore per una «rivoluzione» rinviata.