Pane al pane

«Generale Vannacci, mi sorge una domanda: io sono abbastanza italiano per lei?»

di Carlo Cottarelli   24 agosto 2023

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Secondo l’ormai noto ufficiale-scrittore non basta avere la cittadinanza. Servono anche tratti somatici e adesione a una certa idea di patria. Eppure, l’appartenenza a questa nazione è fatta di cultura

Le recenti esternazioni di un ormai noto generale hanno sollevato in me un dubbio di non poco conto: sarò abbastanza italiano? Credo che sia giusto porsi questa domanda (parlo anche dei gentili lettori) perché ormai sembra che non basti neppure la cittadinanza per essere considerato italiano.

 

Partiamo dai tratti somatici, visto che di quelli si è parlato. Ho capelli scuri (pochi ormai), occhi marroni e una carnagione mediterranea. Ma, mi chiedo, non sarò troppo scuro e mediterraneo? Una volta a Washington a una pompa di benzina un tizio si avvicina e mi chiede: «Are you from Tunisia?». Eh sì, perché quando sono un po’ abbronzato più che un antico romano sembro cartaginese. E quando, per l’Fmi, visitavo la Turchia cittadini turchi mi fermavano per chiedermi informazioni. Imbarazzante che i miei tratti somatici possano essere simili a quelli di Paesi dichiaratamente islamici!

 

Certo, sono nato e cresciuto a Cremona, ma basta questo per essere considerato italiano? I miei genitori erano italiani e ho il passaporto italiano, ma abbiamo già visto che serve ben altro per essere considerato italiano. E poi, se guardiamo alla storia di Cremona… Quando il tedesco Barbarossa nel 1158 scese nella Pianura padana i miei antenati cremonesi si unirono allo straniero per assediare il comune di Milano. Non un grande esempio di italianità!

 

A questo punto però mi devo porre un’altra domanda. Quale è l’essenza dell’italianità? La dobbiamo cercare nelle nostre virtù militari? In quella linea storica che ci unisce a Giulio Cesare, come scritto di recente? Il nostro inno nazionale parte da lì: «Dov’è la vittoria, le porga la chioma, che schiava di Roma Iddio la creò». Sarà pure significativo se il nostro inno nazionale parla di vittorie militari e di morte per la Patria, quando invece altri Paesi parlano di libertà (Stati Uniti), della lotta alla tirannia (Francia) e del sovrano come simbolo nazionale (Regno Unito). Però in campo militare abbiamo avuto, diciamo, alti e bassi.

 

Non si estrapolino le mie parole fuori dal contesto! Le nostre forze armate sono un fondamentale valore e mi dissocio da chi cita il ripudio della guerra nella nostra Costituzione per sostenere che dovremmo difenderci mettendo dei fiori nei nostri cannoni. Però, che l’essenza dell’italianità sia il nostro valore militare mi sembra esagerato. Anche perché dopo Giulio Cesare, almeno a partire dalla crisi del terzo secolo, l’esercito romano fu sempre più dominato da soldati, generali e imperatori che provenivano dai Balcani (e salto a piedi pari imperatori di pelle scura come Settimio Severo o Filippo l’Arabo) e poi da condottieri barbari o quasi (vedi Stilicone).

 

E dopo che Alarico rispose agli ambasciatori romani, che sostenevano che il popolo romano sarebbe uscito dalla città a difenderla, che «l’erba folta è più facile da tagliare rispetto all’erba rada», quel popolo evitò lo scontro e la città eterna subì il sacco del 410. E non mi soffermo a citare disastri militari più recenti. Insomma, non ci fu solo l’eroismo di Cefalonia…

 

No, l’italianità va semmai cercata nel nostro genio artistico, Dante, Petrarca, Michelangelo, Caravaggio e poi Verdi, Mascagni, Puccini e i nostri architetti che tutto il mondo ci invidia; nei nostri scienziati che nei secoli hanno contribuito allo sviluppo dell’umanità e nella creatività dei nostri imprenditori. Insomma, nella nostra cultura che si è sviluppata nei secoli e che poco ha a che fare coi nostri tratti somatici.