La "stesa" della notte a Caivano dimostra che le parate della politica servono solo alle telecamere. Perché i problemi si risolvono con il lavoro sui territori. Come prova l'esempio a Scampia di don Aniello Manganiello

«Bisogna andare casa per casa. Conoscere le famiglie, fare domande sui loro figli. Senza una vera alleanza fra Chiesa, scuola, famiglia e Stato non riusciremo a diventare più forti della fascinazione della criminalità organizzata e perderemo contro la noia, la depressione, l’abbandono scolastico. Così ho sempre fatto il parroco di quartiere e così continuerò».

 

Don Aniello Manganiello è stato uno dei primi parroci a sfidare la camorra. Ha rifiutato di dare la comunione ai boss del quartiere, di sposarli o di battezzare i loro figli perché: «La Chiesa non può limitarsi a celebrare Messa o a dare i sacramenti. Deve prendere posizione». Come ha vissuto in quei sedici anni di storia d’amore per il suo rione Don Guanella a Scampia lo sa solo chi l’ha incontrato e visto in strada, fuori dal carcere ad aspettare i detenuti con la Bibbia stretta fra le mani,  fra la gente, i suoi ragazzi. Con il suo sorriso consolatorio, senza retorica. A fermare il suo lavoro infatti non sono state le intimidazioni dei boss di Scampia,  ma  un trasferimento quasi inspiegabile della Curia di Napoli nella parrocchia di Roma Trionfale. 

 

Chiunque l’abbia solo sfiorato sa che non avrebbe resistito troppo lontano dalla sua missione, lontano dai suoi ragazzi, dal suo oratorio, dalle sue battaglie e infatti è tornato. Ultimo di otto fratelli sa quanto conti una famiglia che ha poco e niente, ma resta salda: che sia di sangue o acquisita è attraverso un nutrimento ed impegno costante che ci si può aiutare. «Non posso aspettare che siano loro a cercarmi, devo io andare a prenderli». Dal primo ottobre sarà di nuovo parroco nel rione Don Guanella, ritorna Don Aniello, dove meritava di operare, convinto che «Gesù sia più forte della camorra». Ha scritto un libro che è stato il suo testamento scritto con il giornalista Andrea Manzi e pubblicato nel 2011 dalla Rizzoli, ha fondato Ultimi, associazione in difesa della legalità e contro le mafie e ha una Scuola calcio fondata nel ’94 per portare via i ragazzi dalla strada. 

 

«Quando sono andato via c’erano le lotte, la gente si compattava per dire no alla camorra, per riscattare il territorio. Oggi si percepisce maggiore indifferenza su questo argomento, c’è più omertà e individualismo. Come se avessero perso la voglia di riscatto, ma anche perché si parla meno di legalità e delle mafie. Nell’ombra la camorra è diventata camaleontica, porta avanti le sue attività ma in maniera diversa, facendo parlare meno delle sue attività, ma se pensate che sia stata sconfitta vi sbagliate».

 

La spostano, ricresce come la gramigna che può sembrare morta, ma si riforma. «Avevo un oratorio molto frequentato, conoscevo i giovani, parlavo con loro, facevamo rete. Il problema della pornografia e della sessualità vissuta in modo disordinata,  quasi bestiale, esiste, ma accanto alla proibizione bisogna educare o è inutile la censura. La mia associazione di calcio ha dato tanti risultati negli anni. Era frequentata da ragazzi figli di camorristi o che provenivano da una zona grigia, in una zona di mezzo. Oggi sono sposati, portano i figli all’oratorio, li educano bene. Sono orgoglioso di loro. Il cambiamento è possibile, gli irrecuperabili non esistono. Ho avuto due ragazzi in carcere per spaccio e rapina: li ho presi in affido attraverso il tribunale di Napoli e oggi sono diventati allenatori. La fiducia e l’accompagnamento serio, affiancato a professionisti responsabili e competenti, possono recuperare diverse vite.  Camorra e disoccupazione sono la morte per la città di Napoli, Vangelo e lavoro sono le due possibilità di resurrezione per la città».