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«Il governo dimentica la sanità. Nel bilancio neanche una parola su come salvare il Ssn»

di Alberto Bruschini   12 settembre 2023

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Quattro milioni di italiani rinunciano a curarsi per i costi troppo alti o le liste d'attesa infinite. E nella manovra non c'è un piano per superare le sperequazioni (anche nei salari dei medici). Occorre sfruttare Mes e Pnrr

La prima riunione del Consiglio dei ministri della ripresa, di fronte alla scarsità delle risorse pubbliche per lo stallo dell’economia, ha indicato nel taglio del cuneo fiscale, negli aiuti contro la denatalità e nei sostegni delle fasce più deboli, gli interventi cardine della prossima legge di bilancio dello Stato. Il governo, con tali interventi, cerca di attutire il fardello della stagflazione sulla spesa dei cittadini.

 

Niente da eccepire. Si tratta, comunque, di una protezione parziale dei bisogni familiari perché nulla si dice sul da farsi per la sanità pubblica. Più di quattro milioni di italiani rinunciano a curarsi per le liste di attesa troppo lunghe nella sanità pubblica e per i costi insostenibili della sanità privata (dati Istat 2022). In Italia, nel 2021 la spesa pro capite nella sanità è stata di 2.856 euro, contro i 5.944 della Germania e i 4.355 della Francia e la media dell’Ocse di 3.771.

 

Di fronte alla crisi profonda in cui versa la sanità pubblica, stante le ristrettezze delle finanze del Paese, per rimediare ai guasti in essere e prevenire nuovi disagi sociali, non sembra si possa fare a meno di attingere ai 37 miliardi di euro del fondo sanitario europeo del Mes (prestiti a basso costo e a lunga durata nel rimborso). Per la ”missione salute” nel Pnrr sono previsti 15,6 miliardi, in larga misura destinati alla realizzazione di infrastrutture e all’acquisizione di tecnologie, insufficienti a riequilibrare le carenze crescenti. I 37 miliardi del Mes sanitario, sarebbero necessari per integrare le risorse del Pnrr in modo da realizzare un programma sanitario nazionale di lunga durata, rivolto a ripristinare, su livelli accettabili, le retribuzioni del personale, nonché i servizi resi dai sistemi sanitari regionali, ottimizzandoli con il rilancio degli investimenti, tra cui la formazione di personale specialistico.

I numeri
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Queste spese, anche se a debito, non appesantirebbero il bilancio pubblico. Si tratterebbe, infatti, del “debito buono” che concorre alla crescita del Prodotto interno lordo, in quanto contribuisce a incrementare l’offerta sanitaria. Per quanto riguarda la “spesa sanitaria corrente” si tratterebbe, da un lato, di incorporare nelle strutture regionali il personale medico e infermieristico delle cooperative, impiegato dagli ospedali per coprire i crescenti vuoti di organico (spese già appostate nei loro bilanci) e, dall’altro, di riallineare gli stipendi del personale in forza per non creare sperequazioni con quello assunto dalle stesse cooperative. La chiamata dei medici a gettone ha raggiunto, infatti, una cifra impensata solo pochi anni fa, destinata ad aumentare per l’invecchiamento della popolazione e per la riduzione della prevenzione, atta a contenere la diffusione di malattie che, trascurate, diventerebbero incurabili.

 

Non sarebbe, pertanto, spesa pubblica “cattiva”, dato che ogni euro speso per le retribuzioni del personale colmerebbe il vuoto di domanda che da vent’anni ha frenato una sostanziale crescita della nostra economia (Paul Krugman). Si contribuirebbe, inoltre, a evitare che la certezza di avere prestazioni sanitarie in tempi rapidi, in Italia, ce l’abbia solo chi può permettersi di pagare (una fetta sempre più ristretta di popolazione).

 

Il programma sanitario nazionale, definito in sede di Conferenza delle Regioni, attingendo alle risorse del Mes sanitario, permetterebbe di superare progressivamente l’emergenza nell’erogazione dei servizi e il riequilibrio dell’organizzazione strutturale del sistema in tutte le Regioni.