La politica e i militari hanno insabbiato per anni le loro responsabilità. Troppo scomode le verità che sarebbero emerse. Le parole di Giuliano Amato, però, offrono l'ultima occasione per far diventare ufficiale la tesi del missile. Parlamento e magistratura non la perdano

Il 2 settembre scorso, Giuliano Amato ha tolto il velo al mistero di Ustica – l’abbattimento del Dc9 dell’Itavia, partito da Bologna il 27 giugno 1980 e mai atterrato a Palermo – dicendo quello che molti hanno sostenuto in questo lungo tempo. Le reazioni sono state scomposte, chiedendo conto del perché improvvisamente abbia sollevato il problema e quali secondi fini lo abbiamo spinto. Nessuno ha ricordato lo scandalo vero, già individuato da Francesco Cossiga con parole come pietre: «In uno stato di diritto può accadere che 81 cittadini vengano uccisi; ma non può accadere che non si sappia come, quando, per quali negligenze, per quali responsabilità».

 

Nell’intervista a Simonetta Fiori su Repubblica, Amato ricorda la seduta della Camera dei deputati nel 1986 in cui rispose a molte interpellanze e interrogazioni: già allora escluse l’ipotesi del cedimento strutturale e della bomba a bordo, ma non fu certamente netto nell’individuare la causa del disastro (tanto che Stefano Rodotà e il sottoscritto, allora deputato, ci dichiarammo insoddisfatti sostenendo l’ipotesi già evidente del missile e denunciando il ruolo di insabbiamento dei Servizi segreti).

 

Solo nel 1989 Amato affermò che finalmente si era rotto il muro dell’omertà e che la tesi del missile non era più una semplice ipotesi. Fu un anno importante perché la commissione peritale, su incarico del giudice istruttore Vittorio Bucarelli e presieduta dall’ingegner Massimo Blasi, consegnò un’imponente relazione che dava conto delle ipotesi da scartare e da accreditare. Solo quella di un missile reggeva perché l’aereo era rimasto integro fino all’impatto con l’acqua e per la presenza di alcuni fori dall’esterno nella parte anteriore. Fu anche l’anno del recupero del relitto. Il Senato se ne occupò con un confronto con il ministro della Difesa, Mino Martinazzoli, che si trincerò dietro l’attività della magistratura e il segreto istruttorio.

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Nel giugno dello stesso 1989 questo settimanale pubblicò un libro bianco sulla strage di Ustica intitolato “Vergogna di Stato”, curato da Pierluigi Ficoneri e Mario Scialoja, con due editoriali di Antonio Gambino. E continuò l’impegno della società civile: Francesco Rutelli, leader dei Verdi Arcobaleno, presentò un dossier di un autorevole istituto di ricerca (Irdisp). La reazione dei militari fu durissima: il capo di Stato maggiore dipinse i giornali come la «classe verbale».

 

La recente ricostruzione di Amato è chiara. Quella sera vi fu un’azione di guerra contro il leader libico Gheddafi, con violazione della nostra sovranità nazionale da parte della Nato e della Francia. Difficile per la politica scoperchiare questa verità. Difficile ammettere che, come dice Amato, «un apparato costituito da esponenti militari di più Paesi abbia negato ripetutamente la verità…coprendo il delitto per una ragion di Stato, anzi dovremmo dire “per una ragion di Stati”, o per una “ragion di Nato”». E conclude: «La Nato ci guadagna oggi ad apparire ancor più disumana nascondendo ancora una tragedia del genere?».

 

Siamo arrivati al punto. Si sa tutto, ma non può diventare verità ufficiale, perché verrebbero alla luce lo strapotere di apparati militari occulti – una vera casta – e la debolezza della politica e della democrazia. Per il Parlamento e la magistratura è ultima occasione. Che non vada perduta.