Cose preziose

La vicenda Pozzolo dimostra che bisogna sradicare il culto delle armi, soprattutto tra i politici

di Loredana Lipperini   18 gennaio 2024

  • linkedintwitterfacebook

È un guaio che la gente s'innamori di pistole e fucili. Perché tra possederli e usarli il passo è breve. E a pagarne le conseguenze sono spesso le donne, vittime di femminicidio. La vicenda del deputato di fdI dimostra l'urgenza di una battaglia culturale

Nel 1969 sul grande schermo appare una pistola rossa a pallini bianchi: è la protagonista di un film di Marco Ferreri, Dillinger è morto, dove il designer Glauco, interpretato da Michel Piccoli, annoiandosi molto nella solitudine della casa, trova in dispensa una Bodeo modello 1889, impacchettata in un quotidiano che riporta la notizia della morte di un gangster, John Dillinger. Sempre annoiandosi molto, Glauco, dopo aver dipinto la pistola, uccide la moglie addormentata. Il film, peraltro bellissimo, ci porta con notevole anticipo sui tempi a un’altra pistola, la North American Arms LR22, così cara al deputato di Fratelli d’Italia Emanuele Pozzolo da portarsela dietro ai festeggiamenti di Capodanno, dove, a quanto si racconta, la pistola era così contenta di essere presente da mettersi a sparare da sola.

 

È un guaio innamorarsi delle armi. Per gli altri e soprattutto per le altre. Molti anni dopo, il 6 settembre 1951, lo scrittore William Burroughs, a sua volta appassionatissimo di pistole, impugna l’inseparabile Star 380 automatica e, nel bel mezzo di una festa molto alcolica, chiede alla moglie di giocare a Guglielmo Tell. Lei, altrettanto ubriaca, si mette un bicchiere di cognac in testa, Burroughs spara, Joan muore. Nel pamphlet Guns - contro le armi (pubblicato in Italia da Marotta e Cafiero), Stephen King ricorda che grazie all’amore per le pistole muore una donna ogni sedici ore, che il rischio di suicidio aumenta del 300% e che quotidianamente otto bambini vengono colpiti, feriti, e a volte uccisi. «Quando le armi sono difficili da ottenere, le cose migliorano, ma non vedo miglioramenti del genere in futuro», ha scritto il 31 ottobre sul New York Times. Neanche noi. Soprattutto per quanto riguarda i femminicidi.

 

Un anno fa l’Opal (Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa) ha ricordato che molto spesso chi uccide usa un’arma da fuoco legalmente detenuta. Nel 2020, avviene in un femminicidio su quattro, e il dato fa paura, se rapportato al numero di chi possiede una licenza per armi, ovvero circa il 10% degli italiani. In altre parole, chi ha una pistola in casa subisce la tentazione di usarla. Nel 2023 sono state 113 le donne ammazzate dai propri ex compagni, e nel 26% dei casi è stata usata un’arma da fuoco: cominciando dalla prima vittima, Giulia Donato, 23 anni, uccisa il 4 gennaio nel sonno (come la moglie di Glauco) dall’ex fidanzato, guardia giurata, con la pistola di servizio. Nove giorni dopo, a Roma, Martina Scialdone, 35 anni, muore con un proiettile nel cuore davanti a un ristorante: il suo assassino aveva un porto d’armi per uso sportivo. Il giorno dopo Oriana Brunelli, 70 anni, viene ammazzata, sempre con una pistola, da un ex vigile. Siamo solo a metà gennaio di un anno fa.

 

Chiaro, esiste un problema sulla concessione delle licenze e ne esiste uno culturale, che viene spesso tralasciato in quanto considerato irrilevante: ma non lo è. E il culto delle armi andrebbe sradicato, cominciando da chi ne fa uso pur rappresentando gli elettori. Dunque, la cosa preziosa di oggi non è un libro ma un’azione letteraria comune: perché questo articolo è parte di una campagna a cui hanno aderito scrittrici e giornaliste italiane per denunciare la violenza di genere e nominarla. Tante, decine e decine, e ne leggerete le parole da qui al prossimo marzo. Per cominciare, almeno.