A 32 anni da Tangentopoli la retorica dell’onestà non sposta voti. Se non dal centrosinistra

La sconfitta del centrosinistra in Liguria – dove il centrodestra ha trionfato nonostante la condanna per corruzione del governatore uscente Giovanni Toti – andrebbe analizzata non solo per il fallimento dell’alleanza Pd-M5S, ma perché conferma che un’inchiesta per corruzione, per quanto clamorosa, non determina di per sé la sconfitta dell’avversario politico. Questo poteva valere, forse, trent’anni fa: oggi è un’illusione destinata a infrangersi contro la realtà delle urne. C’era già un precedente: quando Roberto Formigoni fu accusato di corruzione – in un processo che si sarebbe concluso con la sua condanna a sette anni e mezzo di carcere – gli elettori della Lombardia non scelsero come suo successore un uomo del centrosinistra ma il leghista Roberto Maroni, un alleato del governatore inquisito.

Certo, quando si vota per una persona – il presidente della Regione – la scelta del candidato ha un peso importante, anche se non decisivo. Ma resta il fatto che in Liguria lo scandalo che ha travolto Toti non ha prodotto l’effetto sperato. Perché? Una possibile spiegazione è che oggi, 32 anni dopo la scoperta di Tangentopoli e dopo innumerevoli repliche di quello scandalo, molti italiani hanno perso la speranza che la politica sia in grado di eliminare il cancro della corruzione, e dunque non si indignano ma si accontentano dell’allontanamento dell’inquisito. Ed è anche possibile – anzi probabile – che chi vota Meloni, Salvini e Tajani nutra ormai una radicata diffidenza verso la magistratura, ritenendola troppo politicizzata. Fatto sta che gli elettori del centrodestra, anche di fronte a scandali e condanne, non voltano automaticamente le spalle a chi li ha governati.

Al contrario, quando le inchieste hanno investito i governatori del Pd – l’umbra Catiuscia Marini nel 2019 e il calabrese Mario Oliverio nel 2020 – il voto ha ampiamente premiato l’altro schieramento, segno evidente che nel centrosinistra il grado di sensibilità alla questione morale è più alto che nel campo avverso.

La reazione degli elettori del centrodestra è dunque diversa.

La sconfitta in Liguria dimostra che è sbagliato dare per scontato che gli errori degli avversari bastino per vincere. Per anni la sinistra ha vissuto nella convinzione che la moralità politica e la giustizia potessero diventare le armi vincenti contro un centrodestra che sembrava affogare nei propri scandali. Ma non è più così. Non basta puntare il dito contro le colpe altrui e sperare che questo basti a spostare voti. Serve un candidato autorevole e credibile. E serve un progetto politico che sappia parlare alla testa e al cuore degli elettori, che offra soluzioni concrete ai problemi quotidiani, che vada oltre la retorica dell’onestà, che è il presupposto essenziale della politica.

Se il centrosinistra vuole davvero tornare competitivo, deve ritrovare una visione, un progetto politico chiaro e incisivo, che parli ai bisogni reali delle persone. Non bastano più le accuse, non basta più ricordare agli elettori chi ha fatto cosa. Serve offrire un futuro, una speranza concreta. Serve ritornare a essere un’alternativa credibile capace di scaldare i cuori – come fecero il Pci di Enrico Berlinguer negli anni Settanta o l’Ulivo di Romano Prodi negli anni Novanta – non solo un «male minore» rispetto a un avversario brutto, sporco e cattivo.