Facciamo eco
Senza il coraggio di cambiare sarà presto la fine
Serve un’alternativa credibile alle destre, che difendono un modello di sviluppo devastante per la Terra
Siamo oltre la soglia. Il 2024 passerà alla storia non solo come l’anno più caldo di sempre, ma pure come il primo in cui la temperatura media della Terra è aumentata di 1,5 gradi rispetto al periodo preindustriale compreso tra il 1850 e il 1900. L’accordo di Parigi del 2015 indicava di non oltrepassare questa soglia per prevenire conseguenze gravi per tutta l’umanità. Ma i dati del servizio Copernicus indicano come il limite sia stato per la prima volta superato. Non solo. Il Global Monitoring Laboratory e l’Organizzazione mondiale di Meteorologia hanno denunciato un nuovo record negativo: la concentrazione di CO2 in atmosfera è passata da 280 parti per milione del livello preindustriale a 42 (+151%). L’inquinamento atmosferico accelera gli effetti del cambiamento climatico a causa del doppio assorbimento di radiazione solare, generando maggiore calore sulla Terra. Perciò il Mediterraneo, così come l’Atlantico, sono molto più caldi del normale. Perciò dopo le piogge torna l’aria calda e si vengono a formare vortici che ne scaricano a terra quanti- tà mai viste, come avvenuto a Valencia: 491,2 mm in otto ore, di cui 160 in appena un’ora. Per diminuire i rischi ed evitare il peggio l’Unep, agenzia Onu per le questioni ambientali, chiede di ridurre le emissioni del 42% entro il 2030 e del 57% entro il 2035 rispetto ai livelli del 2019. La comunità internazionale deve assumersi responsabilità condivise per affrontare e risolvere una questione esiziale per la specie umana che va per forza di cose gestita su un piano globale. Responsabilità condivise, ma diverse. Sta innanzitutto ai Paesi maggiormente inquinanti ridurre più di altri le emissioni. A partire da quelli del G20 che da soli impattano per il 77% dei gas climalteranti. E che, invece, le emissioni continuano ad aumentarle. Tutte le rilevazioni indicano in crescita i consumi di petrolio, gas e carbone. Numeri che dimostrano l’inconsistenza e l’ipocrisia delle dichiarazioni finali delle conferenze internazionali sul clima. In questo momento storico gli interessi delle grandi multinazionali dettano le priorità dell’agenda politica. Ci vorrebbe molto di più e quel poco su cui ci si impegna nemmeno lo si porta avanti. Lo scorso 11 novembre è iniziata a Baku, in Azerbaigian, la 29^ Conferenza delle Parti della Convenzione Onu sui cambiamenti climatici. Arriveremo finalmente a impegni concreti, a un cronoprogramma credibile, a investimenti adeguati, politiche di cooperazione, scambi di tecnologie efficaci per tagliare le emissioni al livello necessario a evitare la catastrofe? Difficile, viste le posizioni difese anche dall’inquilino che presto si insedierà alla Casa Bianca. Non saranno le destre a promuovere riconversione ecologica, equità sociale e pace. Sono legate al grumo di interessi di classe che tiene in ostaggio le nostre vite: fossili, armi, finanza. Ma non l’ha fatto nemmeno chi dovrebbe rappresentare un’alternativa alle destre quand’era al governo. Rimuovere il conflitto sociale dal proprio orizzonte e continuare ad affidarsi ai draghi responsabili delle politiche economiche che hanno contribuito all’incendio in corso non è un’alternativa, anzi. Chi insegue i Trump e le Meloni sul loro stesso terreno, parlando di armi e competitività, non sa connettersi alle istanze popolari e non potrà mai rappresentare un’alternativa efficace. Continuerà, come avviene da tempo, a delegittimare democrazia e istituzioni, amplificando la crisi e rafforzando le destre. Prima che sia troppo tardi, serve il coraggio di guardare altrove, di cambiare priorità, linguaggi, vestiti e pratiche. Facciamo Eco!