Cose preziose
Ciò che arde è contestazione non violenza
Evocare per le manifestazioni il ritorno della lotta armata è insensato. E la storia lo dimostra
Negli anni Sessanta la stampa britannica insisteva, preoccupata, sulla criminalità giovanile, e qualche teorico sostenne che carcere e riformatorio peggioravano la situazione: perché allora non condizionare i piccoli delinquenti attraverso quella che veniva chiamata «la terapia dell’avversione»? Fu una proposta bislacca, e mai attuata, ma da quell’idea nacque uno dei capolavori del secolo scorso, Un’arancia a orologeria di Anthony Burgess, dove il giovane teppista Alex viene sottoposto alla cura sperimentale Ludovico per allontanarlo dalla tendenza a compiere il male. Non va proprio così, come si ricorderà. Più tardi, Burgess tornò su quel libro, ricordando di essere stato deriso per aver manifestato le proprie paure nei confronti del potere dello Stato, anche se quel potere era già stato raccontato da Huxley e Orwell. Del resto, aggiunse, «le botte inflitte agli intellettuali capelloni e agli anarchici accaniti piacciono sempre all’uomo medio, anche se in realtà rivelano che il pensiero liberale è soffocato (la Costituzione americana è stata opera di intellettuali capelloni) e la dissidenza politica eliminata». Altri tempi, si dirà. Vero, perché non abbiamo Burgess e Huxley e Orwell, e di contro montano gli allarmi tutti italiani sulla criminalità giovanile: a ricordare bene, proprio il film che Kubrick trasse da Un’arancia a orologeria venne proibito, non più di sette anni fa, durante l’autogestione del liceo Orazio a Roma in quanto trattava «temi troppo forti».
Da ultimo, si sono aggiunti altri pericolosi figuri da additare: coloro che bruciano fotografie. È avvenuto il 23 novembre a Roma durante il corteo femminista, laddove i titoli dei giornali non riguardavano la grande affluenza ma una foto del ministro Valditara bruciata (per le reazioni di Valditara al fallo da contatto si veda la rubrica della settimana scorsa). È avvenuto di nuovo durante lo sciopero generale del 29 novembre quando, a Torino, sono state date alle fiamme foto di Giorgia Meloni e, a quanto pare, un fantoccio di Salvini. Qui si avrebbe gioco facile nello scomodare gli storici sui significati dei falò rituali, che continuano ad alzare fiamme al cielo a inizio anno come rito purificatore: ma neanche Carlo Ginzburg e Alessandro Barbero uniti in lectio magistralis convincerebbero coloro che equiparano bruciare una fotografia al ritorno della lotta armata. Dunque, ci si limita a evocare Strasburgo: perché nel 2018 la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che la Spagna ha violato la libertà d’espressione di due cittadini condannandoli a 15 mesi di prigione per aver dato fuoco alla foto dei Reali: gesto, hanno detto i giudici, che non è incitamento a odio e violenza ma critica politica. Non bastasse, c’è la cosa preziosa di questa settimana, ovvero Una notte nella casa delle fiabe di Silvia Ballestra, che esce per Laterza. La cornice è il racconto della permanenza nel Grimmwelt, il museo dei fratelli Grimm a Kassell. Dentro c’è molto altro: la posizione di letterati e artisti sul nostro tempo, la libertà d’espressione, il bisogno di utopia. Nonché un fatto fra gli altri: i Grimm persero il loro posto all’Università di Göttingen, assieme ad altri cinque professori, per aver contestato l’abolizione della Costituzione da parte del Re. Per la cronaca, ci sono un bel po’ di fuochi nelle fiabe: perché intorno ai fuochi si raccontavano e si tramandavano.