Le scadenze per incassare le rate sono state rispettate. Ma sulle opere da realizzare siamo indietro

Riuscirà il Pnrr a cambiare l’Italia portando il nostro tasso di crescita del Pil da valori anemici sotto l’un per cento a un più robusto due, tipo Penisola Iberica? Questa era l’ambizione. A che punto siamo? Due storie girano. Quella del governo che dice che stiamo andando benissimo e quella dell’opposizione che dice l’opposto. Facciamo chiarezza. In termini di rispetto delle condizioni che il Pnrr prevedeva per l’incasso dei finanziamenti dall’Europa stiamo andando bene: abbiamo rispettato tutte le condizioni (a parte quelle che, per accordo con la Commissione, sono state modificate, ma erano meno del 10 per cento del totale) e non abbiamo perso nessuna rata di versamento. Pochi giorni fa il governo ha annunciato che la Commissione europea ha dato la luce verde al versamento della sesta rata (altri 8,7 miliardi) grazie al rispetto dei trentanove obiettivi raggiunti nel semestre. Dall’inizio del Piano, l’Italia ha incassato 122 miliardi (il 63 per cento della dotazione totale). Siamo di gran lunga il principale Paese incassatore. Quindi su questo niente ritardi. Siamo però parecchio indietro nella realizzazione delle opere pubbliche previste. 

 

Come possiamo essere indietro e al tempo stesso aver rispettato tutte le scadenze? Il motivo è che le scadenze riguardavano spesso passi procedurali e burocratici più che il completamento di parte delle opere. Solo da qui in avanti le scadenze riguarderanno in misura preponderante la realizzazione delle opere. I soldi del Pnrr sono stati incassati e hanno finanziato il deficit di quest’anno e degli anni passati, ma la spesa che riguarda l’esecuzione è rimasta indietro. Pochi giorni fa il governo ha indicato che si è verificata un’accelerazione nella spesa prevista. La spesa complessiva è salita a 59 miliardi (il 30 per cento del totale del programma). Nel 2024 saremmo a 22 miliardi. Quest’anno erano però previsti 40 miliardi e l’obiettivo complessivo, da realizzare entro giugno 2026, resta ancora lontano (dei 194 miliardi ne mancano 135). Il Pnrr non è fatto solo di investimenti però: ci sono anche le riforme e anche qui il quadro è misto. I passi intermedi sono stati compiuti ma gli obiettivi finali non sono ancora stati raggiunti. Cito, per esempio, quello di ridurre la durata dei processi civili del 40 per cento: c’è stata per ora una riduzione, ma inferiore a quella che ci si poteva aspettare a questo punto dell’esecuzione del Piano. Anche qui occorre accelerare.

 

C’è poi un’altra considerazione. Il Pnrr è ormai iniziato da più di 3 anni. Ci si potrebbe aspettare un qualche impatto in termini di tasso di crescita del Pil e invece siamo fermi a una velocità di crescita che quest’anno sarà intorno allo 0,6 per cento (faremo probabilmente lo 0,8 per cento solo perché nel 2024 c’è qualche giorno lavorativo in più), ben lontano dal 2 per cento sperato. È vero che da fine 2022 stiamo crescendo alla stessa velocità media dell’area dell’euro (tranne nel terzo trimestre di quest’anno quando siamo tornati a essere il fanalino di coda dell’Europa), ma questo solo per la crisi tedesca che abbassa la media. Ciò non significa che il Pnrr non sia servito a niente: le risorse arrivate dal 2021 hanno facilitato il finanziamento del debito pubblico e aiutato la ripresa post-Covid. Ma non sembrano essere per ora riuscite a cambiare le tendenze di fondo in termine di crescita del Pil. Purtroppo.