Bengala

«Mark Zuckerberg e gli altri signori del Web volevano fare di noi degli ignoranti. E ci sono riusciti»

di Ray Banhoff   15 febbraio 2024

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Dai social network sono derivati danni alla società, soprattutto ai più piccoli. Mentre i loro proprietari si sono arricchiti. Perché renderci una massa manipolabile e facile da sottomettere è stato il modo per conquistare potere

Dopo averli esportati in tutto il mondo, l’America sta facendo i conti con i social network e con gli effetti che hanno sulla gente (come recitava una famosa parodia), in particolare modo sui minori. Guai a fare i passatisti a priori, quelli che si stava meglio prima, però una cosa possiamo dirla: forse i social network qualche danno l’hanno fatto.

 

A riguardo è utile soffermarsi su una notizia che da noi è passata in sordina, quella riguardante un’udienza al Senato americano contro i ceo di Meta, X (ex Twitter), TikTok e Discord dedicata ai danni che i social provocherebbero sui bambini: soggetti che non sono abbastanza tutelati dalle piattaforme e che finiscono in reti di pedopornografia, violenza, autolesionismo e criminalità. Più che un’udienza, un vero e proprio interrogatorio in cui impressiona osservare Mark Zuckerberg alla sbarra in evidente difficoltà, mentre balbetta incalzato dal senatore che gli chiede: «Che provvedimenti avete preso? Avete licenziato qualcuno? Ha risarcito le famiglie delle vittime? Perché non chiede loro scusa, visto che sono in quest’aula?».

 

Le risposte sono vaghe, balbettate, impietosamente a svantaggio di un uomo che si vocifera voglia guidare gli Stati Uniti un giorno. Zuckerberg, con una rigidità e una goffaggine disarmanti, si rivolge al pubblico e fa il suo compitino a favore di camera: chiede scusa quando ormai il danno è fatto e nel mentre si è arricchito così tanto da diventare uno degli uomini più potenti al mondo. Arricchirsi non è un male, specie nella società capitalistica, ma farlo coscientemente sulla pelle degli altri sì che è grave.

 

Questo video, che da noi ha girato clamorosamente poco, conquistando spazio sui media cartacei e in tv per appena un giorno e non generando alcun dibattito, ci dice una cosa: inutile snocciolare la retorica sui danni dei social e sull’imbarbarimento generale, se poi si concedono premi e copertine ai loro fondatori, ormai mitizzati, ammantati di un’aura di uomini del futuro, accolti da capi di Stato come capi di Stato.

 

Ha fatto notizia in questi giorni una signora di 65 anni fermata per un controllo stradale che, invece della patente, ha fornito un documento autoprodotto che conteneva la sua impronta digitale lasciata con il sangue e l’autorizzazione a guidare ogni mezzo di trasporto (aerei compresi) in quanto la conducente è «eterna essenza e fonte di valore». Stramberia a parte, la signora di Roè Volciano, in provincia di Brescia, non è sola: fa parte di “Noi è, io sono”, un’assembramento settario di quasi diecimila adepti che disconosce lo Stato, le sue leggi, si ritiene esentato dal pagare tasse e multe. Si tratta di una delle tante fedi proliferate in un substrato sociale sempre più vasto, popolato da scetticismo verso le istituzioni, ignoranza, ma soprattutto autolegittimatosi grazie alla fratellanza da branco dei social network. Vera risacca di scontenti poco inclini alle rivoluzioni, ma piuttosto agli ammutinamenti.

 

I media si battono contro le bufale, ma poco possono contro reti di semianalfabeti che sostengono: «Donald Trump è morto nel 2020, Vladimir Putin nel 2009». Tanto che, per usare il loro linguaggio complottista, viene da pensare che proprio i grandi imprenditori del Web sognino folle sempre più ignoranti, manipolabili, facili da sottomettere. E che ce l’abbiano fatta. «Ignorance is strength»: George Orwell lo aveva capito già negli anni Quaranta.