Personaggi e interpreti

«Schlein insiste con il campo largo. Ma più che un miraggio, è un abbaglio»

di Sebastiano Messina   23 aprile 2024

  • linkedintwitterfacebook

La segretaria dem continua a cercare l'alleanza con l'M5S. Respinta da Giuseppe Conte. Il cui obiettivo è chiaro: drenare il consenso elettorale del Pd, affermarsi come leader dell'opposizione e conquistare il diritto di ricandidarsi per Palazzo Chigi

Anche se Giuseppe Conte ha fatto saltare le primarie per la scelta del candidato sindaco di Bari, e rifiuta ogni intesa su un candidato comune con il Pd, Elly Schlein continua a ripetere che nonostante tutto «il campo largo non è morto». Purtroppo, dopo quattordici mesi del suo vano corteggiamento politico, è sempre più evidente che il suo non è un miraggio ma un abbaglio. Per due ragioni.

 

La prima è che anche dopo la sua lunga stagione governativa, il Movimento Cinque Stelle è ancora oggi prigioniero della sua anima anti-sistema. Per sopravvivere, deve continuamente dimostrare di essere l’unico soggetto politico puro, non corrotto e non contaminato dal virus del potere che ha infettato tutti gli altri concorrenti, Pd compreso. E infatti Conte, nel momento in cui il governo Meloni ha messo sotto accusa la giunta barese guidata da un galantuomo come Antonio Decaro, anziché difenderlo gli ha dato uno schiaffone. Rivelando di pensarla come il suo aedo Marco Travaglio, per il quale il Partito democratico «lorda chiunque ci si allei» e si comporta «come se non fosse la malattia ma la cura». Alla larga dunque dalle sue primarie, che finora sono sempre state «impreziosite da banchieri, riccastri e file di cinesi e magrebini reclutati un tanto al chilo dai capibastone».

 

Coerentemente con questa analisi in perfetto stile qualunquista, Conte fa finta di non sentire gli inviti di Schlein. E i sondaggi rivelano che il 59 per cento degli elettori del Movimento considerano il campo largo «un progetto fallito» (contro un 66 per cento degli elettori del Partito democratico che invece continua a ritenerlo realizzabile). Insomma né il capo né i suoi seguaci vogliono sentir parlare di un’alleanza con il Pd. Possono magnanimamente accettare, tutt’al più, che quel partito voti per un candidato del M5S, come è successo in Sardegna. Ma il contrario no: per loro significherebbe compromettersi, o come scrive Travaglio «lordarsi». Meglio dunque perdere restando puri che vincere riconoscendo che lo sia anche qualcun altro.

 

C’è stato per la verità un momento, durante il governo Draghi, in cui l’ala del Movimento che seguiva Luigi Di Maio ha capito che era arrivata l’ora di abbandonare la demagogia populista e di entrare nel campo della democrazia liberale, ma questo tentativo è fallito: ha vinto Conte, che spinto dalla sua ambizione ha cinicamente scelto un’altra strada.

 

E questa è la seconda ragione che rende impossibile il campo largo. L’ex «avvocato del popolo» ha una sola, trasparente aspirazione: tornare sulla poltrona dorata di Palazzo Chigi. E sa che può farlo solo se il M5S ridiventerà il primo partito, svuotando giorno dopo giorno il bacino elettorale del Pd. Così, mentre Schlein pesa ogni aggettivo e ogni avverbio quando parla di lui, Conte non esita ad accusarla di essere «bellicista», dice no a ogni candidato proposto dal Nazareno e dichiara di voler superare il Pd alle Europee di giugno. Rivelando che il suo obiettivo numero uno non è battere la destra ma conquistare la guida dell’opposizione per rivendicare domani il diritto di candidarsi come premier.

 

Il suo piano è chiaro, anzi limpido. Il vero mistero è invece il motivo che spinge Schlein a inseguire ancora il suo riluttante non-alleato su un campo largo che non esiste.