Al di là di alcuni dati positivi, servono misure per occupazione e salari. Ma il governo fa il contrario

Caro direttore,

 

hai notato che certe notizie scivolano via come acqua sul vetro, numeri compaiono e scompaiono, alcune statistiche irrompono e poi s’inabissano? Ma i fatti, ahimè, restano e spesso sono alquanto diversi da come vengono raccontati.

 

Un giorno, per esempio, abbiamo scoperto che in Italia ci sono sempre più poveri. Tanti. L’Istat ha calcolato che due milioni e 200 mila famiglie – cioè una su dodici, quasi sei milioni di persone, un decimo della popolazione residente – si trovano, come s’usa dire, «sotto la soglia di povertà», status che non equivale a una cifra fissa, varia da zona a zona del Paese, ci si arriva quando il reddito non basta a garantire una vita almeno accettabile. Quasi contemporaneamente abbiamo saputo, dall’Istat e da un gioioso bombardamento da Palazzo Chigi, che in Italia non ci sono mai stati così tanti occupati. Ora, se è vero che i posti di lavoro variano da mese a mese a seconda dell’andamento dell’economia e delle aziende, è altrettanto vero che i 23 milioni e 700 mila occupati del 2023, uomini e donne, non s’erano mai visti prima: vent’anni fa erano un milione e mezzo in meno, nel 2014 quasi due milioni.

 

Evviva, accogliamo il dato con soddisfazione, ma evitando che fiumi di melassa coprano ciò che c’è dentro le notizie. Soprattutto buone. Gli occupati sono tanti, sì, ma ancora solo sei su dieci in età da lavoro. I disoccupati si sono ridotti, è vero, ma superano pur sempre i dodici milioni. Se rispetto all’anno prima i poveri sono “solo” 80 mila in più, vuole dire che il dato è stabile da anni – salvo il calo del 2018 per via del reddito di cittadinanza e la successiva esplosione per crisi energetica e ritorno dell’inflazione – ma pure che con i recenti provvedimenti il governo ha, sì, raffreddato il fenomeno, ma non avviato un’inversione di tendenza. Altri dettagli illuminanti: i poveri sono calati al Sud, proprio così, e cresciuti al Nord e al Centro, perché lì la vita è più cara. Le famiglie colpite sono quelle con molti figli, specie se minori (sono poveri un milione e 300 mila bambini e ragazzi); quelle italiane lo sono in misura minima (6,4%) rispetto alle straniere e miste (quasi una su quattro). Comunque l’indice di povertà è molto sopra la media anche nei giovani tra i 18 e i 35 anni, mentre è meno pesante per i pensionati.

 

E allora, tirando le somme: anche se di poco, i poveri sono aumentati, dunque siamo sempre là; con buona pace della lotta alle disuguaglianze, a pagare sono innanzitutto bambini e ragazzi, che vergogna, e giovani e immigrati, la vera forza lavoro che invece andrebbe tutelata. Scorrendo i numeri è facile dedurre che gli occupati sono cresciuti di numero, non di qualità: molti nuovi contratti, infatti, sono precari e sottopagati e ciò contribuisce a infoltire le file dei poveri, soprattutto nel Nord storicamente ricco e produttivo, dove però tutto è più caro e la crescita dell’economia è piantata sullo zero virgola, come da recente Def. E infatti soffrono perfino famiglie dove pure c’è un lavoratore dipendente.

 

Insomma, è inutile girarci intorno: per cambiare davvero lo scenario servono contratti più stabili, maggiore decontribuzione per le imprese (è stata prorogata solo per un anno e ovviamente ciò non tocca chi il lavoro non ce l’ha), salari adeguati e sussidi per i disoccupati. Il governo dovrebbe fare meno propaganda e impegnarsi di più. Almeno con la stessa cura con cui si affretta ogni mese ad aiutare evasori fiscali o a incoraggiare altri a diventarlo. Ma questo se volete è tutto un altro discorso. O è lo stesso?