I dati mostrano un leggero miglioramento. Ciononostante, sulla trasparenza resta ancora molto lavoro da fare. E la percezione dei cittadini non è sempre coerente

L’indagine che ha coinvolto in prima persona il presidente Giovanni Toti ha riportato attenzione sui dolenti temi dei rapporti tra politica e mondo imprenditoriale, dei finanziamenti illeciti ai partiti e, in generale, della corruzione per fini politici (vedi anche il caso della Puglia). A che punto siamo nella lotta alla corruzione?

 

L’impressione generale è che, rispetto ai fenomeni monstre sviluppatisi durante la Prima Repubblica, c’è stato un progresso. Insomma, casi tipo Enimont (si trattava dell’equivalente di decine di milioni di euro) non si sono più verificati. Le cifre di cui si parla ora sono più contenute e riguardano la politica a livello locale più che nazionale. Ciò detto, speravo di trovare informazioni più precise nella relazione annuale dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) pubblicata il 14 maggio scorso.

 

La Relazione è ricca di importanti notizie sull’attività svolta nel 2023, ma purtroppo non contiene indicatori sull’estensione della corruzione. La relazione nomina l’esistenza di diverse decine di indicatori di corruzione elaborati dall’Anac, ma non li utilizza nel testo, forse anche perché disponibili solo fino al 2019. E allora dobbiamo dipendere, ancora una volta, dai soliti indici pubblicati da Transparency International e Commissione europea.

 

Il principale indice di Transparency International è quello della percezione della corruzione che riflette ciò che i cittadini pensano sulla diffusione della corruzione nel loro Paese. Questo indice, disponibile fino al 2023, ci dice che, nella percezione degli italiani, la corruzione si è ridotta rispetto a un decennio fa, anche se il miglioramento è avvenuto tra il 2016 e il 2021 (nessun progresso poi). Siamo però ancora indietro nella classifica della trasparenza: solo quarantaduesimi su centottanta Paesi.

 

Gli indici di percezione della corruzione sono tradizionalmente più deboli per l’Italia rispetto a quelli che misurano l’esperienza diretta della corruzione. In altri termini, se chiedi a un italiano se vive in un Paese corrotto risponde di sì. Se però gli chiedi se ha avuto esperienza o conoscenza diretta di fenomeni di corruzione allora risponde no. Questa discrepanza può essere interpretata o col fatto che a noi piace sparlarci addosso; o col fatto che «chi fa la spia non è figlio di Maria» per cui meglio fare finta di niente anche se si è visto qualcosa nell’incertezza su come la risposta verrà utilizzata. Fatto sta che negli indici di esperienza di corruzione pubblicati dall’Eurobarometro della Commissione siamo nella media europea. Insomma, non eccelliamo, ma non siamo in fondo alla classifica.

 

Ci sono però alcune domande nell’Eurobarometro per il 2023 che sono piuttosto rilevanti per il legame tra impresa e politica. Alla domanda se vincoli troppo stretti tra impresa e politica portino a corruzione l’83% risponde affermativamente (78% per la media europea). E, soprattutto, alla domanda se l’unico modo per avere successo negli affari è avere connessioni politiche il 67% degli italiani risponde positivamente, contro una media europea del 50% e valori inferiori al 20% per i Paesi nord-europei, con l’eccezione della Germania, comunque al 39%. In conclusione, probabilmente stiamo meglio che nella Prima Repubblica, forse c’è stato un progresso anche rispetto a dieci anni fa, ma certo non possiamo abbassare la guardia. C’è ancora parecchio da fare.