L’Overshoot Day arriva sempre prima. Occorre ridurre il consumo di risorse della Terra e le ingiustizie

Dal 20 maggio in Italia siamo in debito con la Terra e lo saremo sino alla fine dell’anno. È il debito più importante di cui dovremmo preoccuparci, se vogliamo continuare a vivere su questo pianeta. Il nostro Paese lo scorso 19 maggio ha finito le risorse naturali e i servizi ecosistemici gratuiti che la Terra è in grado di rigenerare e organizzare ogni anno: il nostro Overshoot Day. L’impronta ecologica è l’indicatore di sostenibilità con cui possiamo calcolare questo deficit ecologico. Misura quanto consumiamo ed estraiamo in relazione alle capacità della Terra. Nel caso italiano abbiamo superato le biocapacità del Paese del 425%. Vuole dire che, per soddisfare i nostri consumi annui, avremmo bisogno di altri quattro Paesi come l’Italia! Siamo tra quelli messi peggio al mondo. Abbiamo battuto persino la Cina, dove l’Overshoot Day è stato il primo giugno.

 

La data arriva sempre prima anche per gli altri, come denuncia il Global Footprint Network, organizzazione di ricerca internazionale che, partendo dall’impronta ecologica della popolazione mondiale e dall’offerta di biocapacità della Terra in un anno, calcola il giorno nel quale consumiamo come umanità tutte le risorse prodotte dal pianeta. Il 3 maggio, ad esempio, è stato l’Overshoot Day dell’Ue. Se la popolazione mondiale adottasse lo stesso modello di consumo degli europei, avremmo bisogno di tre pianeti in più. Va da sé che questo «way of life» non è esportabile e va cambiato perché profondamente iniquo. Ci sono una gigantesca ingiustizia e un enorme problema di democrazia in questi numeri. Il deficit ecologico contratto dal 4 maggio al 31 dicembre ha tra le conseguenze l’aumento della temperatura del pianeta. E se cresce la febbre della Terra aumentano anche migranti ambientali, desertificazione, erosione dei suoli, inondazioni, ondate di calore. E sappiamo che le ingiustizie ambientali ed ecologiche si traducono in povertà, disuguaglianze, precarietà lavorativa, conflitti per il controllo delle risorse rimaste, malattie per noi esseri umani.

 

Consumo, estrazione, distribuzione delle risorse e accesso ai servizi ecosistemici dipendono dal modello di sviluppo e dalle scelte della governance globale. È il cuore del problema. Non sono certo le scelte individuali e la tecnica le chiavi per risolvere questo livello di ingiustizia e complessità. Chi lo sostiene fa prevalere gli interessi della crescita economica e delle élite a discapito dell’interesse generale e del bene comune. Dobbiamo invece ridurre la pressione (ecosufficienza più che ecoefficienza), investendo attraverso la fiscalità generale nella riconversione ecologica partecipata, inclusiva, equa. 

 

Ma questa ha bisogno soprattutto di una transizione culturale che richiede la mobilitazione e la partecipazione dei cittadini e delle reti sociali. Senza, è impossibile ogni cambiamento. Abbiamo bisogno di confronto e risposte su tali sfide. Invece la campagna elettorale europea ha segnato il livello più basso della politica, Italia inclusa. Capovolgendo priorità e responsabilità, chi governa nega il problema investendo enormi risorse per armi, economia fossile, megaprogetti estrattivi, allevamenti intensivi. Mentre taglia diritti sociali e fondi per la riconversione ecologica, reprime il dissenso e nasconde la verità sulla crisi, avvicinandoci alla guerra. Cambiamo sistema e classe dirigente se vogliamo uscirne. Non è mai troppo tardi. Facciamo Eco!