Il clan La Russa. Il cerchio magico di Meloni. Con una classe dirigente di amichetti non si va lontano

L'ultimo caso è quello di Rosanna Natoli, la consigliera laica del Csm che è stata sospesa dal plenum dell’organo di autogoverno della magistratura per rivelazione di segreto d’ufficio. L’ha inguaiata la registrazione di un colloquio privato che non avrebbe assolutamente dovuto avere con un giudice sottoposto a procedimento disciplinare, ma a nessuno è sfuggito un dettaglio del suo curriculum: è nata a Paternò. Come lo sconosciuto dentista siciliano che alle ultime elezioni è diventato senatore, dopo essere stato piazzato in collegio blindato di Catania. O come l’assicuratore che a 37 anni è stato eletto presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana. Non è un caso. Tutti e tre questi nomi sono stati suggeriti, caldeggiati e alla fine imposti dal più illustre dei paternesi viventi: il presidente del Senato Ignazio La Russa. Figlio di Antonino, che a 25 anni era il federale fascista di Paternò. Padre di Geronimo, presidente dell’Automobile Club di Milano e consigliere d’amministrazione del Piccolo Teatro. E fratello di Romano, assessore alla Sicurezza della Regione Lombardia. Ora, non c’è nulla di illecito, di scandaloso e neppure di nuovo nell’abitudine di piazzare parenti, fedelissimi e compaesani nelle più alte cariche pubbliche – i precedenti abbondano – eppure lo scivolone della consigliera Natoli rivela che il principale partito italiano ha un serio problema con la selezione della classe dirigente del Paese. Il clan La Russa fa infatti il paio con il cerchio magico di Giorgia Meloni. Nel quale la sorella Arianna ha la guida del partito, il cognato Francesco Lollobrigida è ministro dell’Agricoltura e il fedelissimo Giovanbattista Fazzolari controlla Palazzo Chigi. E dunque se c’è da scegliere il nuovo direttore generale della Rai vince uno dei «gabbiani» della sezione missina di Colle Oppio, quella dove la premier ha imparato a fare politica. Se c’è da nominare la nuova direttrice generale dell’Inps, viene scelta l’ex militante del Fronte della Gioventù di cui Fazzolari si fida ciecamente. Se c’è da insediare il nuovo amministratore delegato della società che gestisce i servizi dei musei e delle aree archeologiche dello Stato, la spunta un ex assessore di Frosinone che vanta un’antica amicizia con Arianna Meloni. La prima scelta, ogni volta, è quella di pescare negli elenchi dei vecchi compagni di partito, dei fedelissimi, dei sodali a prova di bomba. La competenza, il merito e la bravura sono graditi, certo, ma non sono indispensabili. Purtroppo questo metodo non può funzionare a lungo, in una democrazia moderna. Non solo perché poi si passa alle seconde e alle terze file, e alla fine si esaurisce anche l’elenco dei militanti della sezione di Colle Oppio. Ma anche, e soprattutto, perché la fedeltà e l’amicizia non possono sostituire la competenza. Non è un problema secondario. Un partito di governo deve necessariamente contare su una classe dirigente solida e preparata. Che non è solo un gruppo di individui con ruoli di comando, ma una rete di figure che condividono una visione comune e sono in grado di tradurla in politiche concrete. Giorgia Meloni si è rivelata assai abile come frontwoman di Fratelli d’Italia, ma senza una squadra di personalità competenti il suo partito e il suo governo finiranno per essere percepiti come incapaci di gestire quel sistema complesso chiamato Italia. Non si va lontano, con i camerati e i compaesani.